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La maggior parte dei bimbi lo odia. Ho visto mamme tentare in tutti i modi fallendo miseramente. Non c’è verso. E poi quell’olezzo… bisogna abituarsi. Gradualmente.
Personalmente non solo mia madre non l’ha mai imposto, ma non ne ha mai avuto bisogno. Mi piaceva (e mi piace) pure. Certo, c’è da considerare anche il fattore territoriale. A Palermo, dove cucini con la finestra spalancata anche d’inverno, il cavolfiore è un alimento particolare con cui entri in confidenza fin dall’infanzia. Ricordo benissimo mattine di sabato e domenica, appena sveglio, da una parte io colazione latte e biscotti, dall’altra la pentola con il cavolfiore. Dopo i primi anni la puzza non la senti più.
E infatti, dall’insalata alla pasta arriminata o saltato in padella con olive e primosale il cavolfiore è un principe della cultura culinaria isolana. Anzi, chiamiamolo col suo nome palermitano: vruocculu, italianizzato, broccolo. Che poi il broccolo italiano, a Palermo, si chiami sparacello, è tutta un’altra storia.
Vi ho confuso, lo so, e vi state chiedendo perché mai se nel mondo il cavolfiore si chiama così, a Palermo si deve chiamare diversamente?
Beh, il palermitano semplifica. In fondo, cavolfiore e broccolo fanno parte entrambi delle Brassicaceae oleraceae… noi queste cose le sappiamo e siamo tolleranti.
Ebbene oggi il nostro vruocculu, quello verde arrivato fresco dalla Sicilia, finirà fritto in ciuffetti come perfetto antipasto di una grande serata.
Procedimento semplicissimo e veloce.
Bollire u vruocculu tagliato a ciuffetti, giusto il tempo di ammorbidirlo.
Scolare facendo attenzione a non intaccare troppo i ciuffetti e far riposare.
Passare ciascun ciuffetto prima nell’uovo e quindi nella muddica (pan grattato).
Friggere a 190 gradi in olio di semi di arachidi.
Aggiustare di sale.
La frittura è secca, compatta e il risultato goloso. Vi avverto, dà dipendenza.
Occorre un vino di carattere, dal giusto equilibrio alcol-tannino-acidità, rosso dunque, che sappia asciugare il palato garbatamente. Oggi il Cabernet Sauvignon 2013 di Mezzacorona.
Al naso è diretto e risalta scatola di sigari e caffè, tanto caffè; poco dopo si apre alla tenue nota balsamica di sottobosco bagnato.
È il palato però che colpisce per l’impetuosa nota tostata di caffè. Questo, insieme al tannino e ai 13 gradi alcolici regala una gradevole sensazione tattile di ruvidità e la giusta pulizia per contrastare la frittura asciutta. Infine anche l’armonica acidità concorre a quell’equilibrio complessivo fra pietanza e vino, alleggerendo da un lato il sorso e invitando, dall’altro, al ciuffetto successivo.
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