Identità. Sostenibilità. Territorio. Sono tre capisaldi nella filosofia di produzione di Elena Walch la cui azienda, in quel di Termeno, rappresenta l’apice del livello qualitativo vitivinicolo altoatesino.
Elena non nasce viticoltore, ci diventa, scegliendo di abbandonare una professione sicura a favore di quella – sovente più incerta – di produttrice vinicola.
Nell’intervista che le abbiamo fatto ci parla di Vinitaly, di sfide da affrontare, di nuovi vitigni, del primo vino di cui si è innamorata. C’è molto da imparare nelle sue parole, e in tutte quelle pronunciate dalle persone come Elena: #personedivino

Come ha vissuto l’ultimo Vinitaly? Ha trovato delle differenze rispetto alle precedenti edizioni?
Elena Walch con le figlie Karoline e Julia

Ho trovato moltissima attenzione ed interesse soprattutto nel pubblico più giovane il giorno di domenica.
Negli altri giorni, quelli riservati agli operatori, l´affluenza sia di ristoratori che operatori stranieri era ottima, ma ogni tanto sentivo ripetere le solite lamentele per questioni organizzative. Spero si possano migliorare.

Qual è l’argomento  che più di ogni altro l’ha convinta a lasciare perdere l’architettura nel 1988 e a dedicarsi al vino? Immaginava di poter diventare produttrice?
Ho scoperto la passione per il vino, visto che da tre anni vivevo a stretto contatto con vignaioli. Tutta questa attenzione per la natura e la romanticità della filiera vincola mi hanno influenzato molto. Inoltre, visto che abbiamo la nostra stanza da letto proprio sopra la barricaia, respiravo anche di notte questo buonissimo profumo delle uve e del mosto che fermentava durante la vendemmia.
Qual è il suo rapporto personale con il vino? 
Non ho mai finito di imparare e di assaggiare vini di altri produttori e di altre provenienze. È diventato un vero interesse, che coinvolge anche il mio periodo di vacanze!
Cosa beve Elena Walch quando non beve Elena Walch?
Di tutto e di più. Ci sono sul mercato dei vini favolosi con gran scelta per ogni occasione!
C’è stato un vino “coup de coeur” nella sua vita?
Forse il primo amore non si scorda mai, anzi non si scorda proprio mai e così è stato per lo Cheval Blanc, che tutt’ora apprezzo moltissimo per la sua finezza, eleganza e profondità: questa bellissima esperienza me la ricordo tutt’ora.

Lo splendido vigneto Kastelaz

Il vigneto Kastelaz, che dà il nome al noto Gewurztraminer, è un concentrato di bellezza naturale e coraggio umano. Ripido fino al 60% di pendenza, sembra voler insegnare all’uomo che tutti i sacrifici vengono ripagati, prima o poi. Quali altri insegnamenti si possono trarre dal mondo del vino?

Direi che ogni appezzamento ha il suo valore, se trattato con rispetto verso la natura.
Ci sono ovviamente vigneti più vocati per esposizione, composizione geologica del terreno, terreni più ripidi che richiedono maggior impegno lavorativo, ma l’attenzione che si deve dedicare ad essi è sempre la stessa.
A proposito di mondo del vino: cosa cambierebbe nell’ambiente vinicolo e cosa, invece, vorrebbe non cambiasse mai?
Vorrei soprattutto che il clima non cambiasse. È una forte sfida che però dobbiamo affrontare.
Farei ancor più educazione sul “come” bere il vino, sottolineando la sua storia e la sua cultura. È un prodotto naturale di lunghissima tradizione che deve essere fatto conoscere per essere sempre più capito ed apprezzato come tale.
Il cambiamento climatico sembra preoccupare diversi produttori: qual è la sua posizione?
Ne ho accennato prima. Dobbiamo osservare bene come si comporta la natura, per poi trovare le interpretazioni giuste.
Beyond the clouds è uno dei vini più famosi della sua azienda, tra i più premiati. Come nasce? e qual è la genesi di un nome così evocativo?
È stata una sfida iniziata ormai quattordici anni fa. Visto che la caratteristica dei vini dell’Alto Adige sono i profumi e le mineralità, cioè freschezza nella beva, volevo proporre un vino che racchiudesse come un mazzo di fiori tutti questi sentori, sottolineando però la struttura guidata dalla mineralità, che trae origine dalla nostra particolarità del terreno. Il nome è dato semplicemente dal fatto che lo volevo innalzare al vino bianco migliore che potessi fare, al di là di questo è difficile.
Se potesse sperimentare l’impianto di un vitigno non ancora presente sul suo territorio, quale le piacerebbe provare?
L’ho già provato. Ho impiantato quattro anni fa un vitigno resistente alle malattie funginee. È un vitigno che nasce da un incrocio da un’uva vitis vinifera e con una vite asiatica. Diverse scuole sperimentali stanno facendo ricerche in queste direzioni. Il vitigno si chiama “Bronner” e´un IGT Mitterberg e siamo usciti al Vinitaly con la prima annata 2014. Annata difficile a causa della pioggia ed abbiamo dovuto fare solamente due trattamenti con solforosa/rame, trattamenti biologici che nei vigneti “biologici” solitamente si fanno circa 12 – 15 volte all’anno.
Nel mondo del vino si rilevano dibattiti sui cosiddetti “vini naturali” che spesso sfociano in polemiche anche molto accese. Voi che adottate una viticultura convenzionale come giudicate questo dibattito?
A dire la verità non so cosa significhi naturale: tutti i vini sono prodotti naturali. Forse si dovrebbe specificare tra viti cresciute con metodo sostenibile, biologico, biodinamico e poi… lavorati in cantina con lieviti selezionati o ceppi di lieviti allevati con determinate caratteristiche, oppure vini che sono stati vinificati e poi imbottigliati senza nessuna aggiunta di SO2. Ecco, dire semplicemente “naturale” è limitativo e trae in inganno il consumatore.