Young to young, l’iniziativa organizzata e guidata da Paolo Massobrio e Marco Gatti in collaborazione con La Stampa torna al Vinitaly 2015.
Medesimo il focus volto alla promozione di giovani produttori vinicoli italiani da un lato e alla necessità di un approccio alla comunicazione diverso rispetto al passato dall’altro, più immediato e direttamente fruibile anche ai “non addetti ai lavori”.
Young to young ha proprio questo scopo: fare da trait d’union tra futuro della viticoltura e futuro della comunicazione.
L’incontro di oggi 24 marzo prevede un viaggio virtuale che da nord a sud ci presenta tre realtà della costa orientale italiana molto eterogenee fra loro ma con un carattere comune trasversale. La passione.
Non più emergente ma fucina di continue novità, Ciù Ciù nasce nelle Marche sulle colline picene nei pressi della città di Offida dove l’azienda della famiglia Bartolomei dedica i suoi sforzi alla coltivazione dei vitigni autoctoni della zona, quali Passerina e Pecorino, ma anche dei più famosi internazionali con il fine di portare dentro il calice l’espressione vera del territorio.
Walter Bartolomei, 40 anni, racconta come la riscoperta di entrambi i vitigni sia passata anche dal riposizionamento delle vigne dall’entroterra alla collina in terreni più vocati e con più marcato influsso marino.
Il racconto di Walter è ricco di dettagli che fanno capire come un percorso lento e sudato abbiano trasformato un’azienda degli anni ’70, di origine mezzadrile assolutamente non organizzata, in una grossa realtà da un milione di bottiglie con una forte presenza sul territorio del centro Italia e su mercati esteri come Giappone, Cina e nord Europa.
Fu il papà di Walter ad iniziare il percorso di qualità e rinnovamento dell’azienda reso possibile anche grazie alla decadenza delle cantine sociali della zona.
L’annessione di decine di terreni di ex piccoli produttori conferenti e un piano industriale e commerciale hanno rappresentato il
volano di un’esponenziale crescita dai 5 ettari originali ai 150 odierni, ed alla ri-scoperta persino di un vino, l’
Offida pecorino Docg 2014 in degustazione oggi, che semplicemente non esisteva in passato per vari motivi, non ultimo per lo scetticismo dei produttori sulle prospettive di un vino dal nome innegabilmente ambiguo (e vale anche per la passerina).
La degustazione di Marco Gatti è veloce e definitiva.
Giallo paglierino dai riflessi dorati, naso fine e intenso il cui carattere distintivo è proprio la salinità.
Una grandissima sapidità che lascia un palato estremamente appagato. Una centrifuga rinfrescante che mi fa venir voglia di estate e mare.
Bello per immediatezza, beva, eleganza e progressione.
Una gran sorpresa dal prezzo popolare.
“Occorreva trovare un punto di congiunzione fra le esasperazioni e l’addomesticamento. Con voi ho ritrovato il mio Friuli”.
L’introduzione di Paolo lascia forse intravedere una certa propensione per i vini di questo territorio.
E come dargli torto… del resto dal Friuli sono nati alcuni dei più grandi produttori biologici e Innovatori (con la i maiuscola), basti pensare a Gravner, su tutti, e alle sue anfore.
Daniele Drius ha 40 anni e oggi guida l’azienda in prima persona. Mi piace riportare le sue parole.
“Fin da piccolo sono cresciuto con mio nonno, giocando. Dopo gli studi di agraria prendendo come esempio la cultura del nonno ho iniziato il mio progetto di imbottigliamento dato che prima si parlava solo di sfuso”. Non solo.
Aggiunge Daniele “trovarmi i segni sul corpo dei trattamenti sul vigneto mi ha fatto riflettere. Chiesi a mio nonno come si facesse anticamente quando i trattamenti erano pochi.”
La risposta? “A parte la grandine, la vendemmi la porti sempre a casa.”
Da qui nasce il secondo progetto, la seconda svolta, un percorso volto al naturale che dopo più di dieci anni si concretizzerà a breve nella certificazione biologica.
“Ho avuto la fortuna di conoscere Natale Favretto, l’enologo che mi accompagna adesso con il fine comune di riuscire a rendere identificabile nel vino la mia realtà.”
Oggi Daniele presenta una riserva di friulano, il Blanc Simon metodo tradizionale 2010, che reputa oggi il vitigno più rappresentativo del Friuli Venezia Giulia.
Sicuramente quello di cui si parla maggiormente considerando anche la disputa del 2008 sul “brand” Tokai…
Terzo anno di produzione per questo friulano che richiama proprio la tradizione. Parliamo di una breve macerazione sulle bucce, leggero appassimento delle uve, alcune delle quali attaccate dalla muffa nobile (Botritis Cinerea) e uso di lieviti indigeni.
Parola a Marco.
Giallo oro inteso molto marcato, brillante. Molto floreale al naso con evidenti sentori di tiglio, acacia poi miele, cedro, soffio di zafferano… Potremmo star qui a lungo, ci si può sbizzarrire.
Una struttura da rosso al palato, con sapidità perfettamente tarata su un corpo sinuoso.
E che chiusura! Delicata, elegante e dinamica, dai ritorni di nocciola e iodio.
Un vinone pezzo da 90.
Non posso fare a meno di riassumere in un concetto tutto l’impegno e la sapienza che trasuda dalle parole di Daniele: passione. Soltanto passione. Un filo conduttore dai forti legami col passato attraverso cui il futuro è stato plasmato. Il rispetto dell’antico che valorizza il presente grazie all’operato dell’uomo.
Cataldo Calabretta è un giovane produttore presente sul mercato soltanto dal 2012 ma è uno dei nomi che da qualche tempo a questa parte ha generato hype… se ne parla già tanto.
Viticoltori da 4 generazioni “come tutti a Cirò; abbiamo tutti una vigna” dice Cataldo.
Il papà, vivaista di mestiere, non sposa la causa di un progetto volto alla produzione ed è qui che Cataldo grazie agli studi in giro per l’Italia, anche dai grandi della zona come Librandi, porta avanti il progetto di rifondare l’azienda.
I migliori vini a Cirò negli ultimi vent’anni non hanno mai visto la bottiglia… Era ora che i piccoli produttori tornassero ad imbottigliatore autonomamente!
Un territorio come quello calabrese che conta più di cinquanta varietà non può esser lasciato a sé stesso per anni. E’ il momento di tornare sul mercato.
In degustazione il Cirò Classico Superiore 2013 da 100% Gaglioppo.
Un rubino acceso su naso di frutta rossa masticabile, spezie fini e nota balsamica.
In bocca è energia pura. Notevole la freschezza, strenuamente sapido, avvolge il palato insieme ad un tannino potente ma rotondo; un giovanotto diremmo, ma molto buono e promettente già oggi.
Un vino dai tratti rustici ma in chiave elegante.
Cataldo non vorrebbe, lo so, ma indubbiamente non si può dire che non sia un vino baroleggiante, ottimo oggi ma dal grandissimo potenziale domani.
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