Le chiacchierate con chi produce vino sono un patrimonio da non sprecare, una risorsa unica che è sempre un peccato disperdere nell’oblio. Così abbiamo deciso di raccogliere le impressioni di alcuni produttori, registrarle nel web – oltre che nel cuore e nello spirito – per poterle rileggere tra qualche anno.
Abbiamo scelto uomini e donne che per tradizione o indole o anche per caso hanno scelto una occupazione che è in realtà un’arte, le cui soddisfazioni sono pari solo alle difficoltà che si possono incontrare. Sono persone che hanno immaginato di fare vino in un certo modo.
Anzi hanno deciso, più semplicemente – forse senza volerlo – di essere vino. #personedivino.

La nostra prima chiacchierata è con una produttrice che conoscono tutti. Sì, perché La Scolca è un nome che evoca la tradizione, e non solo nel territorio del Gavi. L’azienda ha il rispetto di tutti coloro che – a qualsiasi titolo – hanno a che fare con il vino e la sua storia. 

Chiara Soldati ha raccolto il testimone che la famiglia le ha passato ed ha accettato la sfida, in un’epoca dove la forbice tra passato e futuro tende a divaricarsi. 
Eppure i produttori come La Scolca non possono scrollarsi di dosso il passato per rilanciarsi unicamente tra social e marketing: i produttori come La Scolca guardano al futuro senza dimenticare, nemmeno per un minuto, il percorso fatto e la memoria che li ha resi grandi. Per questo rimangono grandi.
Abbiamo intervistato Chiara, tra un appuntamento e l’altro nello stand del Vinitaly. E’ stata una lunga chiacchierata, durante la quale una delle parole più utilizzate è stata “ambiente“: un bel segnale.
Chiara parla anche di “fare squadra”, spazia da temi tecnici come l’iper ossidazione alla letteratura, citando Hugo, passando per la creazione di una forte identità Made in Italy. Insomma, un dialogo a tutto campo, uno di quelli che ci piacerà rileggere nel tempo che verrà:

Lei rappresenta la quinta generazione della sua famiglia dedita alla produzione vinicola: in che modo la tradizione, l’attaccamento al territorio, la memoria storica la aiutano nel lavoro di tutti i giorni?
Le tappe professionali che hanno caratterizzato la mia formazione e lo svolgimento della mia attività lavorativa, sono state frutto di un percorso non casuale, ma contraddistinto costantemente dalla volontà di approfondire e sviluppare le tematiche di qualità, innovazione e promozione territoriale.
La scelta di proseguire un’attività già avviata da quattro generazioni, ha portato ad una forte coscienza del passato, ma anche un occhio al futuro: l’innovazione della tradizione sotto il profilo gestionale, comunicativo e commerciale, inoltre il fatto di essere la prima donna dopo settanta anni di attività ha portato inevitabilmente ad occuparsi di tematiche prima poco sentite.
Nulla ha più senso della passione”: per vivere pienamente la propria vita ed il proprio lavoro non si può prescindere dall’avere come motore ed ispirazione una grande emozione. Il vino per me è una grande passione che si ripete ogni anno nel momento della vendemmia. Un ciclo che si rinnova portando con sé una affascinante gioia nel veder nascere il frutto di tanti mesi di lavoro. La stessa passione che si prova nel proporre e descrivere un mondo speciale nascosto dietro ad ogni assaggio. Questo pensiero accompagna piacevolmente le mie giornate di lavoro ed è uno stimolo a ricercare sempre la sorpresa e lo stupore anche nelle azioni più scontate del nostro lavoro di produttori .
Ritengo che la vita agricola sia una missione, infatti, si è agricoltori sempre, non solo nel momento in cui siamo in ufficio o in azienda. È un lavoro che ti tiene quotidianamente a contatto con la realtà tangibile della produzione, della vita e dello sforzo umano.

Si sente ancora dire, nel mondo del vino, che la ricerca della diversità attraverso la viticoltura biodinamica, sia una moda o peggio un tentativo commerciale di accaparrarsi consensi e fasce di mercato. Lei come risponde a queste affermazioni?
Sicuramente è necessaria un’opportuna informazione al cliente. Purtroppo questo non sempre è possibile e non sempre le informazioni giungono al destinatario correttamente. Nei numerosi viaggi all’estero, mi sono accorta che sicuramente gli stranieri sono molto più attenti e preparati su questa materia rispetto al consumatore italiano.
La scelta di continuare la cura dell’ambiente nella coltivazione dei vigneti e degli ettari di bosco di proprietà dell’Azienda è frutto diciamo di un’educazione all’ambiente che comincia da lontano, proprio come insegnamento quotidiano famigliare e come esempio da proporre come modello moderno ed avanzato di coltivazione.
Sin dagli inizi della mia carriera lavorativa ho avuto sempre una particolare sensibilità per l’innovazione tecnologica. Per citarne alcune: il recupero delle acque, il controllo della temperatura a freddo durante la vinificazione con un sistema di refrigerazione ed un’attenzione particolare alla non iper ossidazione del prodotto, quindi l’adozione di metodologie e bassissimo impatto ambientale. Infatti, secondo me, un bravo agricoltore deve sempre preservare anche l’ambiente in cui vive, che rappresenta la propria fonte di reddito e la propria casa anche per il futuro e per i propri figli. La cura dell’ambiente non deve essere un abile messaggio di marketing, ma una concreta filosofia di rispetto per il territorio.
Quale vino beve, se non è il suo?
Mi piace indubbiamente ampliare il mio panorama conoscitivo e scoprire nuovi vini, prediligo vini bianchi.
Rimanendo al “vino degli altri”: cosa ruberebbe – se potesse – ai bianchi di Borgogna o all’effervescenza dello Champagne? E cosa invece pensa che i francesi potrebbero copiare da La Scolca?
La Francia è sempre stato un modello di riferimento. Alla Borgogna come allo Champagne ruberei la splendida organizzazione del territorio e la loro capacità di fare squadra. In diverse occasioni abbiamo ricevuto elogi da grandi maison francesi, questo è un grande riconoscimento ed uno stimolo a migliorarsi sempre.
In un mondo ormai globalizzato vedrei molto innovativa una partnership tra Francia ed Italia per promuovere l’eccellenza europea del vino e del life style. Ma probabilmente dovremo aspettare ancora molte vendemmie perché questo accada…

La Scolca è famosa soprattutto per i vini bianchi e lo spumante. Il Gavi, inoltre, è il vino bianco per eccellenza in una terra a forte vocazione per i rossi: come vive questa competizione, sulla carta senza storia e quale prospettive ha?

Tutte le uve hanno luoghi dove danno il meglio di se stesse. Qualcuna riesce poi ad esprimere tutte le sue potenzialità in un luogo soltanto, dove il vitigno trova l’armonia e l’habitat migliore per crescere, dove trova il terreno, il clima, l’altitudine e l’esposizione per maturare  – nella sua pienezza – aromi e profumi. Un po’ come ne “I Miserabili” di Hugo, sicuramente il luogo influisce sull’anima profonda di cose e persone e ne condiziona azioni e pensieri, così anche per il vitigno esistono luoghi d’elezione per far crescere e maturare le singole varietà. In tempi di mercato globale, forse, rimane una delle flebili certezze dei consumatori il poter bere dei vini realmente autoctoni e di sicura provenienza territoriale. L’anima di un vino va spesso trovata nella mano che lo forgia dal grappolo alla bottiglia, per questo il mondo enologico è così passionale, carico di quel pathos così caro ai Greci: quando un produttore parla del “suo” vino parla anche di se stesso e del suo mondo con cui costituisce un tutt’uno. Se un vignaiolo descrive il suo vino è come uno chef che parla del suo piatto o una madre di suo figlio: orgoglioso e fiero di quello che ha prodotto. Le mie prospettive sono affermare il valore aggiunto dell’autoctono in un mondo globale e creare un’identità forte di Made in Italy.
Diversi produttori stanno sperimentando produzioni da vigneti siti fuori Italia: avete mai pensato di seguirne l’esempio? Quali sono i Paesi – a suo parere – dove sarebbe interessante provare a vinificare?

Al momento non abbiamo intenzione di delocalizzare. Trovo interessanti i classici paesi del nuovo mondo.

Come vive i giorni del Vinitaly ?
Vinitaly è sempre una grande festa, un’occasione per incontrare in poche giornate i partner internazionali, i giornalisti, i ristoratori. Giorni di scambi di idee, progetti, giorni in cui si fanno i bilanci dell’anno passato e dell’anno che è appena iniziato. E’ anche l’occasione per sentire ed incontrare il pubblico degli enoappassionati e sentire in che direzione sta andando il mercato e le tendenze.
Come è cambiato – se è cambiato – il Vinitaly negli ultimi anni? 
Il mio primo Vinitaly risale al 1992. Da allora molto è cambiato poiché le nuove tecnologie di comunicazione e la tendenza a visitare sempre più mercati durante l’anno hanno accorciato le distanze, quindi Vinitaly ha perso un po’ la valenza strategica poiché nel periodo in cui si svolge normalmente la fiera i business plan sono già quasi tutti definiti. Però Vinitaly rimane un momento importante di incontro e anche l’opportunità per incontrare nuovi buyers internazionali. Dagli anni ’90 la fiera si è sempre più aperta ad un pubblico internazionale seguendo il trend di export che ha coinvolto il nostro comparto. Il Vinitaly – come ogni evento – si può migliorare ma attualmente è insostituibile e nemmeno duplicabile. Ci hanno provato in passato, con il Miwine per esempio, ma il progetto non è andato a buon fine. Il Vinitaly è Verona, un binomio indissolubile.
Di recente siete stati anche al Prowein di Düsseldorf, nell’anno in cui – tra l’altro – c’è stato un grande incremento di aziende italiane tra gli espositori. Quali differenze riscontra con il Vinitaly?
Vinitaly è un laboratorio di idee, un mix irresistibile di produttori, pubblico e altre forze del vino che condividono giorni sempre molto intensi ed istruttivi. Prowein è molto business, lascia poco spazio ai rapporti personali; non essendoci privato tutto l’ambiente sembra ovattato in una cappa formale. Se volessi fare un paragone molto social, direi che il Prowein è Linkedin, mentre Vinitaly è Facebook.

Ringrazio l’InviNato Speciale, determinante per la realizzazione di questa intervista.