La Sardegna è una regione che non è facile da raccontare oppure, se preferite, è talmente facile che non ci si riesce. Intanto bisogna visitarla, toccarla, respirarla. Viverla. Interagire con i sardi. Ci sono stato solo due volte ed in entrambi i casi sono tornato sulla terraferma con una sensazione di incompiuto, che ricordo ancora adesso: pochi giorni non possono bastare.

Sull’isola si respira la storia ed è facile immaginarlo, osservandone la posizione in mezzo al Mediterraneo, ghiotto avamposto per popoli di conquistatori e commercianti.

Senza dimenticare l’originaria civiltà nuragica di cui ancora oggi abbiamo imponenti esempi architettonici, la Sardegna ha conosciuto ed assorbito le culture più evolute di ogni epoca: dai Cartaginesi fino ai Bizantini, passando dai Romani e dai Vandali, fino a giungere a una autonoma amministrazione nel periodo dei Giudicati tra il nono ed il quindicesimo secolo.
In epoche più recenti l’isola ha attraversato le fasi del Regno aragonese, della dominazione spagnola e sabauda, fino all’annessione agli Stati di Terraferma e alla evoluzione nel 1861 nel Regno d’Italia.
La vocazione alla viticoltura della Sardegna è testimoniata da uno dei primi codici scritti della storia, la Carta de Logu, emessa nel Giudicato di Arborea nel 1392: nel codice il sovrano Eleonora imponeva l’impianto di viti nei terreni incolti e prevedeva pene durissime per chi danneggiasse i vigneti altrui.
La viticoltura è strettamente legata alle tradizioni, tramandate spesso da parecchie generazioni, in un contesto fieramente geloso delle propria identità e dei propri vitigni. Tra questi figura il vermentino, la cui prima menzione conosciuta lo colloca nella cittadina di Montaldeo, nell’Alessandrino, già nel 1658; alcune teorie ritengono che il vermentino sia stato introdotto dalla Spagna tra il quattordicesimo ed il diciassettesimo secolo, tuttavia la varietà non è mai stata rinvenuta in Spagna, motivo per il quale assume maggior fondamento l’ipotesi che vede il vermentino provenire dalla Tessaglia o comunque da Oriente.
Nell’albero ampelografico, il vermentino è sovrapponibile alla malvasia grossa portoghese, al rolle del sud della Francia, alla favorita piemontese ed al pigato ligure, con risultati nel calice comunque molto diversi. E’ un’uva che interpreta bene il territorio e che in Sardegna ha trovato favorevole habitat, tanto che oggi è la varietà bianca più diffusa sull’isola, con quasi quattromila ettari.
Sono poche le aziende vinicole con le quali identifico, d’istinto, la Sardegna e la sua territorialità unica; una di queste è la Tenute Dettori, della quale abbiamo già parlato nel post dedicato al Renosu rosso
Una delle Degustazioni dal basso tenutesi in occasione di TerroirVino vedeva come protagonista proprio l’azienda di Sennori, con una verticale di Bianco Romangia presentata da Alessandro Dettori
La confortevole sala Zefiro del Centro congressi accoglie una ventina di partecipanti, ben disposti su un unico tavolo. 
Alessandro inizia l’intervento e contemporaneamente stappa le bottiglie: parla della zona della cantina, la Romangia, chiamata così perché i Romani hanno portato organizzazione, quindi da duemila anni c’è quindi una perfetta pianificazione agricola. La Romangia è formata da due Comuni, Sorso e Sennori, caratterizzate da terre bianche calcaree. Fino al 1998 Tenute Dettori vendeva vino sfuso: Alessandro avrà un ruolo determinante per il passaggio all’imbottigliamento.
Vigneti tutti ad alberello, dal 2003 l’azienda attua la tecnica biodinamica ma Alessandro non ama le certificazioni o il giudizio basato sulla presentazione del proprio lavoro come biologico o biodinamico. Preferisce, a ragione, concentrarsi sul vino in quanto tale, senza fronzoli burocratici. “Un vino è Vino, un vino buono è un Vino Buono, qualunque sia la tecnica con il quale sia stato prodotto“, scrive sul suo blog. Come dargli torto?
La verticale di Bianco Romangia Igt può iniziare: Alessandro decide di iniziare la degustazione dall’annata più vecchia, per meglio comprendere l’evoluzione che il vino ha fatto negli anni. Al tavolo sappiamo tutti che sarà una degustazione esperienza, per la tipologia del vino, per le annate e per il relatore. 
2002: Alessandro ci racconta che fu vinificato con i raspi, poiché fu una annata molto piovosa ed il tannino del vinacciolo era debole. Giallo oro antico molto intenso aroma di frutta candita, arancia caramellata, cedro, impronta tannica assorbita ed integrata.

2004:  servita da magnum. Annata classica del nord Sardegna, forse l’ultima annata classica. Incenso e agrume all’olfatto, approccio gustativo rotondo e di personalità. Elegante.

2005: ambrato poco limpido, Alessandro ci ricorda che la 2005 fu la prima annata tropicale in Sardegna e la vigna ha patito il caldo; naso di candito, bocca sapida, contratta e un po’ corta.
2006: servita da jeroboam. Ricco di particelle. Ambrato torbido, leggera ossidazione, in bocca acquista punti. Alessandro stesso dice che non è perfetto, quindi ingiudicabile.
2009: giallo dorato antico, lo spartito olfattivo è ancora leggermente agrumato, zafferano, pulito; al gusto la percezione alcolica è ben definita, lineare e lungo. 
2012: Alessandro ci informa che la macerazione fu di dodici giorni anziché sei come di consueto. Ancora giallo oro antico. Naso diretto di ananas, cedro, spezia, netto anche in bocca, fresco, armonico e gradevolissimo. Corpo ed eleganza, espressione sontuosa di vermentino.
La degustazione – esperienza è terminata: vini che pur mantenendo un telaio sapido e mediterraneo comune hanno manifestato grande variabilità anno da anno, come è normale che siano i prodotti di una azienda che crede nell’artigianalità del proprio lavoro, lontano da produzioni omologate.