Si può amare una canzone al punto di renderla parte di sé stessi e della propria vita? Beh decisamente sì, se pensate che c’è chi decide di tatuarsi una frase del suo brano preferito o chi dà al proprio figlio il nome dell’artista che adora.Anche Walter Massa la pensa così (leggete di quando lo abbiamo incontrato per farvi una mezza idea di lui) e ha dato alla sua freisa il nome della canzone di Francesco Guccini.
Il cantautore emiliano la “dedicò” a un critico musicale che aveva gratuitamente stroncato il suo ultimo album. Luciano Ligabue ne ha tratto ispirazione scrivendo la canzone epistolare “Caro il mio Francesco“, indirizzata a Guccini, in cui esternava amare riflessioni sul suo lavoro, accompagnato in sottofondo dall’angoscia e un po’ di vino…
Non sappiamo invece perché Massa abbia deciso di chiamare “L’avvelenata” la sua sorprendente freisa, austera eppur franca, carnosa, vellutata. Non lo sappiamo e sinceramente non credo sia importante saperlo, perché Guccini e Massa vanno ben oltre il semplice titolo “ad effetto”: sono artisti ma prima ancora lavoratori e ancor prima persone che nel proprio lavoro provano a fare coscienza.
Sappiamo però che quando due arti si fondono il risultato è spesso emozionante.
Quando queste arti sono il vino e la musica l’emozione è garantita.
Quando gli artisti sono Massa e Guccini ciò che ne verrà fuori non sarà mai scontato.
E allora non resta altro che consigliarvi ad occhi chiusi questo rosso e lasciarvi con le gucciniane parole de “l’avvelenata” :
credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni?;
va beh, lo ammetto che mi son sbagliato e accetto il “crucifige” e così sia,
chiedo tempo, son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato…
Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante,
mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più d’ un cantante:
giovane e ingenuo io ho perso la testa, sian stati i libri o il mio provincialismo,
e un cazzo in culo e accuse d’ arrivismo, dubbi di qualunquismo, son quello che mi resta…
Voi critici, voi personaggi austeri, militanti severi, chiedo scusa a vossìa,
però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia;
io canto quando posso, come posso, quando ne ho voglia senza applausi o fischi:
vendere o no non passa fra i miei rischi, non comprate i miei dischi e sputatemi addosso…
Secondo voi ma a me cosa mi frega di assumermi la bega di star quassù a cantare,
godo molto di più nell’ ubriacarmi oppure a masturbarmi o, al limite, a scopare…
se son d’ umore nero allora scrivo frugando dentro alle nostre miserie:
di solito ho da far cose più serie, costruire su macerie o mantenermi vivo…
Io tutto, io niente, io stronzo, io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista,
io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista!
Io frocio, io perché canto so imbarcare, io falso, io vero, io genio, io cretino,
io solo qui alle quattro del mattino, l’angoscia e un po’ di vino, voglia di bestemmiare!
Secondo voi ma chi me lo fa fare di stare ad ascoltare chiunque ha un tiramento?
Ovvio, il medico dice “sei depresso”, nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento.
Ed io che ho sempre detto che era un gioco sapere usare o no ad un certo metro:
compagni il gioco si fa peso e tetro, comprate il mio didietro, io lo vendo per poco!
Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po’ di milioni,
voi che siete capaci fate bene a aver le tasche piene e non solo i coglioni…
Che cosa posso dirvi? Andate e fate, tanto ci sarà sempre, lo sapete,
un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate!
Ma s’ io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso,
mi piace far canzoni e bere vino, mi piace far casino, poi sono nato fesso
e quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare:
ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare e a culo tutto il resto!