Non credo siano molte le cose in grado di accompagnare l’assaggio di un vino: la giusta compagnia, un buon libro, un bel panorama, un bel nulla e, ovviamente, la musica.
Ma qual è il genere adatto da ascoltare quando si ha in mano un calice? Il più gettonato, nelle enoteche e nelle case di chi si atteggia a intellettuale-radical chic-bohemienne-esperto di musica, è indubbiamente il jazz. Poi però se al diggèi di turno chiedi cosa conosca del jazz, probabilmente non andrà oltre What a wonderful world di Louis Armstrong.
Come dargli torto d’altronde, il jazz è troppo in alto, è meravigliosamente anticommerciale, estremo e difficile da suonare e forse ancor di più da capire, ma quanto si sposa bene con il vino solo Dio lo sa!
Altri generi abbinabili? Bossanova, piuttosto che i vari ambient fusion cool e affini.
Ma… perché non il ROCK?!
Perché c’è chi fa la faccia contrariata se si abbinano vino e rock???
Ve lo dico io: perché il rock se ne fotte degli abbinamenti e di chi gli sta intorno.
Il rock è così come lo senti, nudo, sporco e crudo, e se credi che in una degustazione faccia “troppo rumore” beh, problemi tuoi, il rock non scende a compromessi.
Il rock è sempre sé stesso. Non fa da sottofondo a nulla e non è sparring partner di nessuno, al massimo coprotagonista, ma solo con un mostro sacro di pari livello. Come il vino.
E allora perche non associarli? Occhio, ho detto associare e non abbinare, il gusto personale è sempre sovrano e se vi piacciono il Tavernello di Montalcino e la Pausini… condoglianze. A me molte canzoni, album o artisti ricordano vini bevuti e viceversa.
L’emozione che entrambi suscitano è spesso simile. Canzoni che riascoltereste in loop sono sorelle di vini che riberreste senza soluzione di continuità. Non ci credete?
Beh, fate male perché qui l’urlo di guerra è WINE – WILL – ROCK – YOU!!!
Partenza citrica con la chitarra acida e distorta diMatt Bellamy che taglia l’aria, un basso che esplode come l’eruzione di un vulcano, un finale lungo e crogiolante in cui perdersi.
Citizen erased dei Muse ha un pathos che ti scava dentro parimenti avvertibile in Micro cuts, Space dementia e Darkshines, grandissimi pezzi nell’album capolavoro Origin of Simmetry, gemello musicale del Pinot nero di Kante, millesimo 2009.Un rosso succoso dalla freschezza antartica, talmente esuberante e ricco che sembra voler esplodere nel calice. Mineralità che più rock non si può e finale interminabile, come il ricordo che di lui conserverete dentro. Da portare sulla luna.
I Riesling della Mosella stupiscono sempre perché sovvertono tutti i preconcetti sui vini tedeschi e sull’invecchiamento dei bianchi, con una tensione gustativa immutata dal primo sorso all’ultima goccia.Un nome che non sia il solito? Senza dubbio Markus Molitor, il suo Alte Reben 2002 lo recensimmo circa tre anni fa, ma ce lo sogniamo ancora di notte.
Anche
The Grudge dei
Tool sovverte la metrica con una batteria incredibile e la voce primitiva di Manyard James Keenan che sputa fuoco come un drago. Nove minuti di rock progressivo che non allentano mai la presa e catalizzano l’ascolto anche del più sfigato fan dei Pooh.
Cosa c’entra il Brunello di Montalcino 2001 di Biondi Santi con The great gig in the sky dei Pink Floyd? Beh, non è sempre facile trovare le parole giuste per descrivere qualcosa. Talvolta esse sono superflue.
Ce lo hanno dimostrato i Pink Floyd con questa pietra miliare in cui la corista Clare Torry non proferisce parola ma è ugualmente un meraviglioso ed emozionante strumento. Il Brunello di Biondi Santi allo stesso modo non necessita di descrizioni o recensioni, berlo è un’emozione unica, inspiegabile. The great gig is in the glass.
The ocean dei
Led Zeppelin è uno dei piccoli capolavori nascosti nella discografia degli Zep, un brano ammaliante e ipnotico che dà davvero la sensazione di essere in mezzo al mare, e se non vi basta ascoltarlo, ma volete sentirne anche il profumo, niente di meglio del
Salina rosso di
Hauner: troverete il Mediterraneo anche nel vostro calice.
A proposito di chicche nascoste, Hats off to (Roy Harper) è un blues anni ’40 velocizzato, solo voce e chitarra: la prima in stile grammofono ma tremendamente potente, l’altra acustica ma distorta e “rockizzata”. Sempre made in Led Zeppelin ovviamente, e beveteci su quello che vi pare che tanto il genio di Jimmy Page non ha limiti, neanche negli abbinamenti.
Ogni volta che ascolto Sympathy for the devil dei Rolling Stones penso allo Champagne. Facile associare il diavolo alle lussuriose bollicine francesi, direte giustamente voi, ma ai primi champagne fu davvero affibbiato l’appellativo di vini del diavolo; ciò era dovuto al fatto che le bottiglie esplodevano per la pressione ed essendo all’epoca le conoscenze sulla fermentazione quasi nulle, si attribuiva la colpa al demonio.
Sympathy for the devil ha un ritmo che trascina sin dalla prima nota grazie alle percussioni e il pianoforte. Un capolavoro effervescente, che mette allegria anche a una playlist coi successi di Masini, Zarrillo e Aleandro Baldi.
Non siete ancora convinti che vino e rock stiano bene insieme? E vabbè, problemi vostri, ma poi non dite che non ve l’avevamo detto!
WINE WILL ROCK YOU!!!!!!!!
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