Non so spiegare cosa esattamente mi piace della barbera. I più vivaci tra i miei interlocutori potrebbero obiettare: c’è barbera e barbera! Ed avrebbero ragione.
Istintivamente, in modo quasi ancestrale, associo questo vino alle serate nelle osterie popolari di un tempo, tuffate nella nebbia, con i tavoloni di legno grezzo e le sedie sbilenche, le carte da gioco, le bottiglie di vetro chiaro ed i bicchieri da fiaschetteria.
In questo caso le mie papille recuperano barbera schiette, color porpora acceso, vinificate in solo acciaio, prive di inutili ornamenti, fresche prima di qualunque altra cosa, ciliegiose (!), ferrose a volte, dritte come fusi e che richiamano piatti della tradizione contadina, a partire dal classico tagliere di salumi fino alla zuppa di fagioli.
Se ci rifletto un po’ e lascio perdere l’istinto mi tornano alla mente esempi di barbera più cesellati, vestite di rubino, vinificate con uso accorto dei legni, potenti ed eleganti allo stesso modo, decorate da aromi di more e lamponi, anice e cacao; il palato è gratificato da ampiezza avvolgente e sapidità. In questo caso ci metto vicino un risotto al Castelmagno, una rollata di coniglio o un brasato.
Mi sembra utile, a questo punto, fare un brevissimo
excursus sul vitigno e sulle barbera che possiamo trovare nei nostri calici. Vi sembrerà inverosimile ma al momento
non esiste una teoria certa sulle origini della barbera. Di certo è l’uva più diffusa del Piemonte e ben si distribuisce in Lombardia, specie in Oltrepò, e in Emilia.
Alcuni storici ipotizzano che il nome derivi dalla somiglianza con il vinum berberis, ossia un succo fermentato di crespino, di color rosso cerasuolo, aspro e astringente, molto diffuso nel Piemonte del tardo medioevo.
Altri suppongono che il nome derivi invece da bàrberus, termine arcaico che vuol dire “aggressivo”. L’attestazione più antica che si conosca risale al 1514, riconducibile ad un documento custodito nei catasti di Chieri.
Limitandoci a descrivere sinteticamente barbera piemontesi,
quella più beverina è quella del Monferrato, molto fresca e con il frutto rosso in evidenza.
Più minerale la barbera astigiana, spesso anche potente.
La neonata barbera Nizza DOCG può contare su una complessità più evidente, corroborata dall’uso della barrique che ne intensifica le note speziate.
La Barbera d’Alba, gode di acidità più sottile, unita a note intense di prugna.
Nella zona del Barolo, per intenderci, la barbera è più materica, strutturata ed anche per questo ha maggiore longevità (dopotutto trae beneficio dai suoli calcarei argillosi tipici langaroli).
E dopo queste poche nozioni posso parlarvi dei vini provati al
rendez vous di barbera organizzato lunedì 21 marzo da
Go Wine presso l’Hotel Michelangelo di Milano. Un’occasione per conoscere e confrontare le diverse denominazioni ed i diversi terroir di origine. Una bella idea che non ci siamo lasciato sfuggire. Ecco qualche nota:
Barbera d’Asti 2015. Molto giovane e fresca, dopotutto l’annata parla chiaramente. Ha una piacevolezza di fondo che certamente non perderà con il passare del tempo. Virgulto.
Rapet 2008 fruttuosità evoluta, accenno speziato. Naso tipico barbera Monferrato, con accoppiata frutti rossi e vegetale, bocca, però, molto diversa dal naso. Sarà per via della maturità? Merita un approfondimento.
Barbera d’Asti Brentura 2012. Lo stereotipo della barbera astigiana: fragole e lamponi al naso, ancorché non nitidissimi sentori gessosi. Grande facilità di beva.
Barbera d’Alba superiore 2011. Che buono questo vino, servito da magnum!
Bel naso di frutta sotto spirito ben equilibrato, cuoio e nota di carruba, che si alterna con un sentore mentolato. Varianti di fava di cacao. Convince al palato, l’uso del legno si percepisce ma non domina, acidità rispettata. Compiacente.
Ultima ma non ultima Bricco Capre Barbera d’Alba Superiore 2012. La barbera d’Alba come deve essere: fruttata senza eccessi, potente quando si assaggia e in ottimo equilibrio – un equilibrio da barbera, attenzione – quasi funambolico tra l’alcol ed il tannino. Può far tutto: dall’aperitivo salumi e formaggi al secondo ben strutturato. Factotum.
E per manifestare il mio conclamato amore per la barbera, cito Carducci, che le dedicò questi versi:
Generosa Barbera.
Bevendola ci pare
d’esser soli in mare
sfidanti una bufera.
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