Lucio Dalla è stato il grandissimo cantautore che tutti abbiamo apprezzato e amato per la sua immensa bravura oltre che per la simpatia che naturalmente suscitava, ma se avesse fatto il pittore, lo scultore o l’attore molto probabilmente avrebbe avuto lo stesso successo. Parliamo di uno che sprizzava arte in ogni suo gesto e ogni parola pronunciata. Lucio ERA l’arte e quando decise di cimentarsi nell’arte di fare vino, i risultati non poterono che essere ottimi. Purtroppo il fato non ci ha concesso il privilegio di provare il suo Stronzetto dell’Etna, oltre che di incontrare Lucio ovviamente, ma nessuno ci vieta di giocare con l’immaginazione e trovarci così nel mare di Sicilia da lui sempre amato, sulla sua barca Brilla e Billy, a scambiare quattro chiacchiere con lui, persona fatta di arte e quindi annoverabile di diritto tra le #personedivino…
Lucio, quando è scoccata la scintilla dell’amore per il vino?
“Cominciai a bere vino soprattutto ai tempi delle prime formazioni jazz, nelle cantine; in casa non era importante. Da allora è stato una costante: in ogni occasione di rilievo non è mai mancato, nei momenti di gioia c’è sempre stato. Il vino è un presenza naturale nella mia vita, come il cane, la luna, le stelle. Sono cose che ci sono, che esistono perché sono presenti in tutti noi. Non possiamo immaginare la nostra vita senza cose come queste”.
Com’è nata l’idea di produrre vino?
“L’idea è nata non certo per lucro, ma per gioco e per amore quando ho preso casa nelle campagne etnee. Ne produco ormai da diversi anni, attorno alla mia casa di Milo, qualche migliaio di litri inizialmente sia bianco che rosso. Poi tutti mi dicevano che quello bianco fosse di qualità veramente eccellente e perciò ho deciso di spiantare gradualmente il rosso ed uniformare la produzione su quella che gli esperti definiscono “qualità superiore”” .
Il nome suscita troppa curiosità e non posso non chiederti come è nato…
“Il nome Stronzetto dell’Etna è nato in occasione di una premiazione al Festival di Taormina, quando Carmelo Bene mi consegnò un premio. La sera prima Carmelo s’era preso una ciucca terribile bevendolo, da non stare più in piedi. E sul palco, consegnandomi il premio aveva detto “Ecco quello stronzetto di Lucio Dalla”. Lo chiamai così per questo, il mio vino”.
Hai intenzione di commercializzarlo prima o poi?
“Non credo proprio. Lo destino alla mia tavola, al consumo sulla barca e soprattutto agli amici. Non ho spirito imprenditoriale e non sono un vero intenditore, l’ho etichettato sì ma sempre per divertimento grazie al mio amico Mondino che ha disegnato me vestito da derviscio. Il mio tornaconto è vedere che lo Stronzetto piace molto ai miei ospiti e risponde ai miei gusti, e questo già mi basta”.
Se dovessi recensire il tuo vino per “Appunti di Degustazione” come lo descriveresti?
“Ti ripeto, non sono un vero intenditore, e anche se Carmelo Bene lo ha premiato come miglior vino della Sicilia posso dirti che stava certamente scherzando!!! Comunque è ottimo,
ti assicuro. Vitigno puro dell’Etna, è una gioia poterselo bere durante
l’estate, nel caldo del sud, magari nei momenti d’ozio a bordo della barca in
quel mare incredibile.”
Il vino è compagno anche dei tuoi momenti lavorativi o di vita quotidiana?
“Decisamente no. Ritengo, a differenza di altri, che il vino
sia incompatibile con il mio lavoro. Quando sono impegnato in un progetto o in
un’attività non ne consumo assolutamente, anche prima di un concerto non ne
bevo mai: preferisco concentrarmi una ventina di minuti, una sorta di training,
ed assumere in genere frutta, mele tagliate, uva. Anche quando
sono solo e soprattutto al di fuori dei pasti il vino non è importante: non
guarderei certo la televisione con un bicchiere di vino in mano. Il vino lo
intendo come socialità, come stare insieme, è sinonimo di benessere e di
amicizia”.
Però il vino è presente nelle tue canzoni: se solo pensiamo al tuo album “Anidride solforosa”…
“E non solo, ti racconto un aneddoto di 4/3/1943, una delle mie canzoni più conosciute. La presentai al Festival di Sanremo del 1971 insieme all’Equipe ’84, il brano giunse terzo ma, prima di essere ammesso alla manifestazione, conobbe la mannaia della censura, infatti il testo originale doveva essere: “e anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino”. Poi dopo una breve trattativa il verso divenne: “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”. Inoltre il titolo originario era Gesù Bambino, perché narra la storia di una ragazza madre che ha un figlio con un ignoto soldato alleato, e fu giudicato irrispettoso per quei tempi; così, insieme ad alcune parti del testo giudicate anch’esse inadeguate, decisi di cambiarne il titolo prendendo a spunto la mia data di nascita, pur non essendo una canzone autobiografica”.
(tutte le risposte di Lucio Dalla sono riadattamenti di affermazioni da lui realmente fatte)