Non avevo dubbi. Sorgentedelvino LIVE, giunto alla settima edizione, non ha deluso le aspettative. Dopo Bastione di Porta Borghetto e la Fonderia di Aterballetto a Reggio Emilia, quest’anno l’evento ha avuto come location gli spazi di Expo Piacenza. Belli, ampi, facilmente raggiungibili, parcheggi auto in quantità. Comodo davvero. Niente poteva andare storto e infatti tutto è andato per il meglio; dopotutto bastava leggere i nomi delle aziende partecipanti: il claim dell’evento è “Mostra dei vini naturali, di tradizione e territorio”. Noi ci siamo andati domenica 15.
E visto che nell’enomondo la tradizione ci gusta mucho ci siamo molto dedicati, più che alla degustazione, all’ascolto dei produttori. Perché un produttore fedele alla tradizione ha sempre molto da dire. Come sempre un solo articolo non basterebbe a descrivere gli aneddoti, le impressioni ma anche le speranze e le preoccupazioni che si possono raccogliere in poche ore.
Già, negli occhi, nelle mani, nei respiri di questi artigiani del vino si possono scorgere molte cose.
Oltre al solito entusiasmo domenica si poteva percepire anche una certa inquietudine, una sorta di sofferenza generalizzata, un tormento dal comune denominatore: è la sofferenza dei piccoli produttori, una afflizione frequente nei cosiddetti indipendenti, in coloro che vendemmiano a mano e fanno poche bottiglie, poca solforosa o nulla in qualche caso, coloro che non hanno un distributore e abiurano alcune logiche di mercato. Saranno i tempi, in cui la crisi economica – volgarmente detta – lascia poco spazio alla prosperità e alla agiatezza.
Un proverbio di antica origine popolare recita “Quando gli elefanti combattono sono i fili d’erba ad essere schiacciati.“. La crisi ha schiacciato le condizioni e le speranze individuali partendo dal basso, nella piramide sociale: come sempre i soliti ricchi, gli elefanti, se la cavano e a pagare è il popolo (nella accezione più proletaria del termine), i fili d’erba.
Nel mondo del vino i fili d’erba sono i piccoli produttori, coloro che sono ancora contadini e non sono e mai saranno imprenditori. Persone, prima ancora che partite Iva. Uomini e donne che magari pensano sì al profitto – e non sempre, conosco diversi casi di produttori che continuano per pura passione nonostante le spese siano superiori ai ricavi – ma che hanno una morale, un’etica sociale, una visione del vino universale.
L’impressione che mi sono fatto a Sorgentedelvino Live domenica è che molti di questi produttori in questo periodo fanno fatica ad emergere, stritolati da vessazioni fiscali, burocrazia asfissiante e da meccanismi commerciali avidi e privi di quella morale che invece contraddistingue i produttori stessi.
Un bicchiere del loro vino sarà sempre buono, per me, caratterizzato dall’amore per la terra che nessuna economia di mercato potrà mai scalfire.
Lasciamoci alle spalle le considerazioni sul momento attuale e concentriamoci sui pochi assaggi – ma di qualità – fatti domenica. Ecco un breve resoconto dei nostri… appunti di degustazione:
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Silvia Stefini ci presenta tre prodotti:
Cuvee premiere, un metodo Charmat a maggioranza chardonnay. Nella sua semplicità c’è la sua forza. Si potrebbe ritenere una valida alternativa al “prosecchino” da aperitivo, ma in questo calice c’è molto di più di un sorso elementare. L’effervescenza non è affatto grossolana, anzi. Gli odori sono intensi di frutta fresca, sono nitidi e piacevoli, ricordano la pesca e gli agrumi. Ottima bevibilità e persistenza insospettabile.
Il Brut ha impatto piacevole di lieviti e cipria, forse appena fuori fase l’approccio alcolico.
Il Vintage 2009 impressiona subito per l’abito che indossa, di giallo paglierino con luminosissime bollicine inesauribili. Al naso è fiero, franco, con note di fiori bianchi, brioche e tocco di frutta esotica. Ben si sviluppa in bocca, con struttura equilibrata, buona sapidità e finale medio lungo.
Ci accoglie Stefano Menti, con la sua bella maglietta “Vino volutamente declassato”. “Declassato perché?” gli chiedo io dopo la degustazione. “Semplice – fa lui – abbiamo deciso di rinunciare alla denominazione, pur avendone i requisiti poiché da qualche tempo a questa parte le cose sono cambiate ed avere la DOC si traduce soprattutto in un costo in più per i consumatori. E così ci declassiamo volontariamente pur mantenendo le medesime caratteristiche di qualità: il consumatore è più felice e noi… pure!“. Non fa una piega.
Omomorto 2013: dal nome della via ove sorge il vigneto. Durello in purezza. Eccezionalmente fresco, erbaceo e vegetale.
Roncaie sui lieviti 2013: garganega con rifermentazione in bottiglia. Buono e secco come piace a me.
Riva Arsiglia vecchie vigne 2013: sentori di mela cotta e quasi ossidati. All’olfatto è elegante, bocca in linea ed evoluzione sapida.
Monte del Cuca 2011: uno dei tanti esempi che dimostrano le potenzialità polivalenti della Garganega. Monte del Cuca fa fermentazione con le bucce, è un orange wine a tutti gli effetti e condensa caratteristiche sia di un vino bianco che di un vino rosso.Color bronzo, naso da rosso, complesso, raffinato, intenso ma anche difficilmente interpretabile: note senz’altro di frutta matura e spezie, su una sensazione minerale sempre ben contenuta. Bocca da bianco, poiché fresco, scattante ma anche da rosso, con un tannino avvertibile e piacevole. Il finale è intenso e prolungato e non cede di un millimetro. Un vino non facile, ma in grado di appassionare e prestarsi ad accoppiamenti gastronomici ad alto coefficiente di difficoltà.
Ok lo conosciamo bene. Ma non potevo tirare dritto davanti ai pezzi grossi offerti in degustazione, tanto meno fingere di non aver visto il Rocce Rosse 2002 Riserva.
Fiamme Antiche Inferno 2010, da magnum. La caratteristica maggiore percezione alcolica tipica degli Inferno qui non si nasconde e rappresenta anzi la peculiarità del vino. Naso “scuro” e speziato, leggermente agrumato cui segue sorso tannico e potente.
Stella Retica Sassella 2010 da magnum. Rosso rubino appena aranciato, mostra un profilo olfattivo evoluto ma non opulento, caratterizzato da sentori terrosi e di pelle.
Grumello Rocca del Piro 2010 da magnum. Impatto olfattivo più immediato dei precedenti, caratterizzato da nitidi sentori di ribes e ciliegie, viola e rosa. Bene anche al palato, dove si fa apprezzare per una facilità di beva che non ne pregiudica l’importanza.
Infine Rocce Rosse 2002: fu una annata molto buona in Valtellina e si sente! incipit al naso di carne rossa, terra, pepe nero e tamarindo. In bocca è ancora fresco, scalpitante e con il tannino addomesticato, scorre che è un piacere ma la trama è fine e lascia il segno: il finale è molto lungo e lascia un sorriso sul volto di chi beve.
Una mia vecchia conoscenza, provata qualche anno fa e mai più dimenticata. In degustazione tre annate de Il Rosso, un particolare blend di dolcetto, merlot e cabernet sauvignon. Agricoltura biodinamica.
Il 2010 sembra un puledro nel recinto: scalpita erbaceo e vigoroso, tutt’altro che timido. Palato piacevolmente rustico, ben sostenuto da viva acidità
Nel 2008 gli aromi virano verso note di erbe aromatiche, origano in particolare, una sorta di evoluzione complessa del carattere erbaceo di questo vino. Si esprime da vino maturo senza concedere tuttavia ancora nulla ad aromi terziari o cedimenti. Ha ancora un bel futuro davanti.
Nel 2006 infine il gusto è diretto e preciso, pur non perdendo totalmente le caratteristiche spigolose che hanno caratterizzato i fratellini più piccoli. Naso intenso e non molto articolato, al palato è asciutto e pieno e la sensazione finale è un buon equilibrio tra l’anima ruspante che gli appartiene e l’evoluzione che ha maturato e che lo ha parzialmente ammorbidito.