Parlare dei vini della Val d’Aosta è facile per un comunicatore, dopo anni in cui sono stati generalmente considerati prima “vini del contadino” e poi “vini di nicchia”. Per fortuna il tempo è un galantuomo (anche e soprattutto nel mondo del vino) ed il valore reale dei prodotti valdostani è emerso in tutta la sua entità: oggi saranno – forse – di nicchia ma sono indiscutibilmente di qualità, riconosciuta ed acclamata.
I vini di Valle si sono imposti al mercato senza soffrire o scimmiottare i vicini piemontesi, totem dell’enologia mondiale: la produzione è molto ridotta ed una piccola percentuale ricade sotto l’unica D.O.C., Valle d’Aosta o Vallée d’Aoste
La viticoltura terrazzata è di quelle che si suol dire eroiche, sviluppandosi nella valle della Dora Baltea a pendenze insospettabili ed altitudini record. Il sistema di allevamento più diffuso è la pergola valdostana, molto simile a quella trentina. 
La denominazione è suddivisa in sette sottozone: Arnad Montjovet, Blanc de Morgex et de la Salle, Chambave, Donnas, Enfer d’Arvier, Nus e Torrette. 
Quello che impressiona maggiormente della produzione è la presenza di numerosi vitigni autoctoni a dispetto della natura montuosa, tra cui il prié blanc ed il petit arvine tra i bianchi, il fumin o la premetta tra i rossi, senza dimenticare il picoutener, la varietà di nebbiolo valdostana.
La piccola premessa serve ad introdurre un piccolo resoconto che Gianpaolo Arcobello Varlese ci ha mandato e che volentieri pubblichiamo, su uno dei produttori più interessanti della Valle d’Aosta:
Il detto “in vino veritas” è sempre valido, non solo quando si alza un po’ il gomito ma anche quando si scrive di vino, senza aver bevuto. Ammetto perciò di aver acquistato questo vino per errore.
Preso dall’indomabile desiderio di fare wine shopping da un’enoteca online, avevo creato nel relativo sito una interminabile lista di preferiti. Al momento di inserire i vini nel carrello, nella smania di completare l’acquisto, ho selezionato il Petite Arvine 2012 di Grosjean anziché un Cremant de Bourgogne. E non una ma tre bottiglie…
Dalle mie parti si dice che “storta va e dritta viene“, e mai errore fu più gradito! Certo non ho pianto, sempre vino stavo comprando, mica olio di ricino, semplicemente desideravo il Cremant.
Lasciato riposare in cantina un paio di settimane, ho deciso di aprire una bottiglia di Vigne Rovettaz e meraviglia delle meraviglie, la magia del vino colpisce ancora… il vino si mostra subito complesso al naso con un bel colore paglierino acceso e una buona consistenza. Invitante partenza olfattiva con note di pesca bianca e piacevole profumo floreale di camomilla. Il parziale passaggio in barrique fa emergere il relativo sentore di vaniglia, e subito ho il presagio di avere davanti un vino “ciccione”, non proprio il genere amato dal sottoscritto. In bocca invece il vino cambia decisamente, si snellisce e… si fa bere eccome!
La nota esotica di ananas e la bella mineralità danno velocità e soddisfazione al sorso, sostenendo senza problemi l’alcol. Susina e banana completano l’ampio bouquet nel calice, a dimostrazione del potente impatto sia olfattivo che gustativo. Vino complesso e “democratico” che, con la sua poliedricità, piacerà ai palati più disparati.
Se prima pensavo di regalare una delle restanti due bottiglie acquistate, ora credo proprio che le custodirò gelosamente entrambe in cantina… ah già, non vi avevo ancora detto che il Vigne Rovettaz di Grosjean ha ancora parecchi anni davanti a sé.
Il cremant de Bourgogne può aspettare.