L’enoteca Vino al vino di Milano ha inaugurato la stagione
degli eventi del lunedì: appuntamenti che – sottolinea Antonio, anima, corpo e
mente dell’enoteca – si potranno seguire senza necessariamente interpretarli
come un corso unico ancorché divisi per argomento. Ci saranno serate sulle Langhe, sui vini etnei, sulla
Loira, sullo champagne. Difficile per me mancare: le poche volte che ho saltato per
scelta una serata me ne sono pentito in seguito ascoltando il resoconto degli amici che ci sono stati; frequento l’enoteca da anni. Alla Vino al
Vino mi sono formato, quel poco che so – tralasciando la rigida didattica AIS –
è lì che l’ho imparato e non solo da Antonio. Tra i tavoli e le
panche in legno del locale è frequente imbattersi in wine lovers preparati, semplici appassionati o
professionisti; l’architettura “aperta” facilita le conoscenze ed il
vino nel calice fa la sua parte. Insomma è il luogo perfetto per bere un buon calice sia
leggendo un libro senza essere disturbato, sia per mera socialità; la filosofia
della mescita
, inoltre, è perfetta per soddisfare la enocuriosità: non ci sono
vini del giorno ma è possibile degustare un calice di qualunque bottiglia in
vendita, pagando un prezzo proporzionale al costo della stessa, solitamente un quarto. Oppure potete prendere la bottiglia intera e non si pagherà alcun
sovrapprezzo per il servizio. Vi confesso che in altre enoteche formule diversa
da questa mi hanno infastidito. Questa è la ricetta vincente, spero non cambi
mai.     

La prima serata era
per lo champagne, magico vino presente nell’immaginario collettivo di tutte le
feste del mondo, spesso abbinato – non sappiamo se giustamente o meno – al
consumo di ostriche e caviale. Cosa dire che non sia già stato detto? Ospite frequente ed attore protagonista
della cinematografia mondiale, da Le
scandale
 di Claude Chabrol
(distribuito in Italia con il poco originale titolo Delitti e champagne) fino ai
più noti film di 007, dove James Bond sorseggia bollicine Bollinger sin dal
1973, lo champagne furoreggia anche nel pentagramma: gli Oasis intonano Champagne Supernova e Goran Bregovic nel 2012 ha
intitolato il suo album Champagne
for Gypsies
 (non il suo disco migliore,
a dire il vero); gli amanti del pianoforte avranno ascoltato mille volte La champagne di Michel Petrucciani. Gli italici
nostalgici (musicalmente parlando) conosceranno l’intramontabile Champagne di Peppino Di Capri e soprattutto Barbera e champagne, album e
singolo dell’eclettico Giorgio Gaber

Nemmeno il blues si
sottrae al fascino della bollicina francese, questa volta accompagnato a
qualcosa di appena più trasgressivo: Muddy Waters nel 1981 cantava Champagne & reefer,
splendido e malinconico manifesto
antiproibizionista
ripreso anche dai Rolling Stones (“…bring me champagne when I’m thirsty Bring me reefer when I want to get high…“).   

Sul tema la narrativa moderna non ci regala capolavori in senso stretto, ma
chicche di pronta lettura senz’altro: Amélie Nothomb scrive nel 2009 Le fait du prince (in Italia Causa di forza maggiore) e fa
dire al suo protagonista “C’è
un istante tra il quindicesimo e il sedicesimo sorso di champagne, in cui ogni uomo è un aristocratico
.” 
Potrei dilungarmi ulteriormente e raccontarvi l’aspetto geografico o quello climatico, tutta la storia (o leggenda?) di Dom Pierre Pérignon ma rischio di perdere di vista il motivo principale
del post: la degustazione di champagne di ieri sera alla Vino al Vino, la serata de L’altro
champagne
. Già, perché ieri non abbiamo provato cinque vini  tradizionali,
ma cinque espressioni che si allontanano dalla falsariga della vinificazione
classica, per diversi caratteri distintivi, come potrebbero essere una certa misurazione nel dosaggio, il ricorso al monovitigno, l’estrema parcellizzazione o anche il packacing. Il precursore riconosciuto è Jacques Selosse, vero totem dell’alternatività champagnistica e forse per questo venduto a cifre non esattamente abbordabili ai più. Dietro Selosse altri produttori ne hanno seguito le orme, pur non condividendone i criteri biodinamici che ne caratterizzano la produzione. 
Siamo tutti intorno al tavolo di legno, venti persone circa, forse qualcuna in più. 

Il primo a finire nel calice è stato Demarne – Frison con Goustane Brut Nature, pinot nero in purezza della zona di Aube; affinamento di ventiquattro mesi sui lieviti, lavorazione in biologico e produzione limitatissima, circa cinquemila bottiglie, proprio per pochi amici. Perlage fine, al naso offre intensi sbuffi di frutta bianca, con una lievissima e piacevole carezza ossidata; il gusto è molto fresco e trasmette la mineralità del terreno dal quale proviene; il finale è lungo e la bocca rimane pulita. Pur non essendo tecnicamente un millesimato, la vendemmia è tutta riconducibile al 2010: Antonio ci spiega che Demarne – Frison non fa vini di riserva. 

Il mio voto per questo vino è 78/100.

Le Mont Benoit Extra Brut di Emmanuel Brochet di Villers aux Noueuds, nelle Marne, è un blend dei tre vitigni classici: 40% pinot meunier,  35% pinot nero e la restante parte chardonnay; è considerato un vino di culto. Perlage molto fine ed esuberante, aromi intensi di fiori freschi, agrumi, vaniglia, crosta di pane; gusto secco, nitido, droit come dicono i francesi, elegante; finale lungo e piacevole. Champagne che coniuga molto bene potenza e garbo, grazie alla perfetta fusione dei vitigni che ne costituiscono l’essenza. Voto: 84/100    

Il terzo “alternativo” è un blanc de noir Grand cru di Marie Noelle Ledru, la Cuvée du Goulté 2008 Brut, pinot nero in purezza. Marie Noelle Ledru è considerata la “signora del pinot nero” nelle Marne: schiva e solitaria, ha ereditato il Domaine dal padre nel 1980, sei ettari ridotti poi a due per poterli curare personalmente e non dover delegare ad altri, per motivi anagrafici, nemmeno un quarto di giro del remuage. Sostanzialmente biologica pur senza certificazione e vinificazione senza uso di legno; Marie Noelle ha nel Cuvée du Goulté il prodotto di punta: “goulté” è un vecchio termine con cui in Champagne indicano il succo migliore della prima pressatura, il cuore della pigiatura. Il vino nel calice si presenta brillante, perlage fine e duraturo. L’impatto olfattivo è tipico del pinot nero, con sferzate di fiori bianchi, frutta gialla e mele, spezie; ingresso in bocca elegante, appena introverso al primo sorso ma pieno e croccante nei successivi. Acidità ben in evidenza; finale lungo con ritorno armonico fruttato. 

Voto 84/100

La maison Laherte Freres possiede settantadue parcelle in tutto lo champagne e le coltiva con metodi tradizionali e biodinamici. Antonio ci versa Les vignes d’Autrefois 2008 Extra Brut, provenienti dai vigneti di Chavot e Mancy, impiantati tra il 1947 ed il 1964 a piede franco. E’ un pinot meunier in purezza e se a qualcuno venisse in mente che solo per questo può trattarsi di un prodotto minore, beh… si sbaglia di grosso. Perlage finissimo, naso di agrumi, prodotti da forno e frutta gialla; mineralità già avvertibile al naso, regala un sorso pieno, quasi cremoso, sapido, molto fresco ed ampio. Energico, forse un un po’ troppo: ravviso una concentrazione di durezze non perfettamente accordate; in un primo momento sospetto della liqueur, salvo ricredermi. Andrà riprovato.

Voto 80/100    

Chiude ahinoi il cerchio uno dei capostipiti della biodinamica in Champagne, Francoise Bedel: sette ettari in biodinamica nella Valle delle Marne. Il prescelto è Entre ciel et terre Brut, non millesimato ma espressione dell’annata 2004, 80% pinot meunier, la restante parte pinot nero. Sette anni sui lieviti, accipicchia; sboccatura ottobre 2012. Brillante paglierino, ben accompagnato da finissimo perlage. Naso lieve e tuttavia complesso, la crosta di pane ed i prodotti da forno rivelano la lunga permanenza sui lieviti, unitamente a sentori floreali ed agrumati. Il sorso è succoso, strutturato e potente, morbidezza più varietale che alcolica ben sostenuta da una spalla acida notevole. L’equilibrio è perfetto. Finale armonico e molto lungo.

Voto 82/100 

    

La serata è conclusa: gli alternativi dello champagne sono piaciuti, non si può negarlo. Piccoli produttori che vanno sostenuti, per il loro coraggio – certo – ma anche per la qualità dei loro prodotti lontani dagli schemi.

Alla prossima.