Sì, viaggiare, evitando le buche più dure senza per questo cadere nelle tue paure
Gentilmente senza fumo con amore dolcemente viaggiare…

cantava Lucio Battisti nell’ormai lontano 1977. In Italia è dolce viaggiare, per l’enoturista, per l’appassionato consapevole che ovunque sulla mappa italiana poggerà il dito troverà una cantina vicina, e del buon vino. È una fortuna che spesso non si percepisce, che quasi nessuno possiede nel resto del mondo.

Faccio questo incipit tra il malinconico e il campanilistico per introdurre la presentazione di Cantine d’Italia 2019, edita da Go Wine e lunedì scorso all’Hotel Michelangelo di Milano. Dietro un vino c’è una storia e la guida – diversamente da molte altre, più tecniche – privilegia questo approccio, contribuendo, non senza orgoglio, a fare cultura del (e per il) vino.

Nell’edizione 2019 sono circa 700 le cantine selezionate, oltre alle altre 71 inserite nella speciale rubrica “da conoscere” al termine di ogni regione, sono 230 le “Impronte d’eccellenza” per l’enoturismo, oltre 4.200 i vini segnalati, 1.600 gli indirizzi utili per mangiare e dormire. Di ogni cantina viene segnalato il Vino Top e un repertorio di vini da conoscere, lasciando tuttavia al lettore ampio margine di scelta, senza dogmi. Confermato anche per quest’anno “il fattore D”, un simbolo posto a fianco del nome delle cantine che accettano le visite domenicali: un aiuto immediato e intuitivo per i turisti… della domenica! Le cantine presenti in Guida sono frutto di una selezione che tiene conto di più fattori che concorrono a formare la valutazione, tra cui il sito aziendale, il panorama dei vigneti esistente e le attività legate all’accoglienza. E naturalmente il vino, con un’attenta valutazione della qualità, della versatilità e dell’ampiezza della gamma.

In occasione della presentazione si è tenuto un banco di degustazione costituito da una esclusiva selezione dei vini Top delle aziende premiate. Vi segnaliamo brevemente tre nomi: il Taurasi Vigna Macchia dei Goti 2014 delle Cantine Antonio Caggiano, per esempio. Ci è piaciuto per potenza espressiva, tipica varietale, accompagnata da uno spettro olfattivo fortemente variegato e per nulla scontato. Esprime di certo una componente da affinamento in legno, ma è ben calibrata, affiancata da un sorso centrato e appagante.

Tutt’altro vino, per stile, vitigno e posizione geografica il Bricco Arcagna 2017 di Terre Bianche di Dolceacqua. Rossese in purezza, intona nel colore, nel colore e nei profumi la formula magica del vitigno che – lo diciamo da anni – è tra i più sottovalutati della storia. Proveniente da uve centenarie, sussurra gentilmente sbuffi floreali eleganti, a volte speziati, a volte minerali. Amo i vini cangianti, e questo lo è. Persino al sorso, dove esordisce con un ingresso vigoroso ma si trasforma quasi subito in un soffio dalla texture raffinata e interminabile. Uno schiaffo che diventa una carezza.

Ultima segnalazione per il prestigioso Brunello di Montalcino Riserva 2012 di Podere Brizio. L’annata per la denominazione è stata calda e secca e le differenze di terroir sono percepibili da vino a vino. I vigneti del podere guardano a sud ovest verso il mare e hanno potuto godere di maggiore ventilazione: il risultato è un Brunello dal colore intenso e profondo, a tratti imperscrutabile. Al naso ha quasi perso le sfumature fruttate, in favore di quelle speziate e lasciando tuttavia intuire che l’evoluzione del vino è ancora ben lontana dall’essersi completata. In bocca questa trasformazione è ancora un passo indietro, poiché esplicita tannini ancora energici e spigoli da giovanotto: come si dice in questi casi, è un vino grande che presto diventerà grandissimo.