Lattesa in città era palpabile: l’edizione 2018 di Bottiglie Aperte sarebbe stata “diversa”. Non solo per la nuova location, ma – soprattutto – perché l’evento avrebbe dato il via alla Milano Wine Week, la grande manifestazione ideata e intensamente voluta da Federico Gordini.

Iniziamo a parlare proprio della location: il fascino della storia percepibile al Palazzo delle Stelline ha lasciato il campo alle geometrie moderne di Superstudio Più, in Via Tortona. Facilmente raggiungibile in metropolitana, è uno spazio che si presta a momenti di questa natura. Il rischio che potesse apparire troppo freddo è stato evitato grazie al lavoro dello studio Aquilialberg Architets, che ha realizzato una scenografia minimalista ed espressiva al tempo stesso, con una struttura aerea in legno che richiama la rappresentazione del DNA: un’onda morbida e rotante, un passaggio ideale dalla tradizione al futuro.

E al futuro Bottiglie Aperte ci pensa eccome, lo dimostra il bando per le startup innovative in campo vitivinicolo, promosso e sostenuto da ABS Investment. Ha vinto il progetto “Volcanic Wines” di Patrizia Legnaro, alla quale va in premio un anno di consulenza gratuita da parte dei manager del gruppo Aliante Business Solution, mirata alla creazione del modello di Business e del Business Plan sino alla ricerca dei capitali necessari alla partenza dell’attività
operativa.

Tra le masterclass del programma, ci è piaciuta quella in cui Sandro Sangiorgi ha disquisito di Terroir, evocazione e riconoscimento. Chi conosce Sangiorgi ne ama – o ne odia, in qualche caso – l’oratoria a tratti ipnotica, l’eloquenza tipica di chi conosce bene gli argomenti che tratta. Pochi fronzoli e tanta sostanza a volte persino schematica, a partire dal grande foglio di carta su cui ha scritto tre cose sul vino buono: 1) restituisce il luogo di nascita 2) dona benessere 3) ha sintonia col cibo. Risalire a una definizione di vino naturale non è semplice, anche perché la ricerca dello stesso è innanzi tutto ricerca di se stessi. Sono lontani per fortuna i tempi in cui un vino naturale che puzzava doveva essere accettato comunque, perché è la natura che lo fa puzzare: i bevitori italiani non ci sono mai cascati e hanno stroncato sul nascere ogni tipo di revisionismo del fenomeno.

Gli assaggi del banco di degustazione

Cantina Orsogna nasce nel 1964 e attualmente è costituita da circa cinquecento soci, per oltre 1400 ettari di viti, sulla Maiella. Circa venti anni fa i soci hanno iniziarono la conversione al biologico, scelta ancora all’avanguardia, ma che ha dato i propri frutti. Cantina Orsogna ha fatto del rispetto dell’eco-sostenibilità la propria mission, perseguita persino nel packaging, a basso impatto ambientale: le bottiglie prodotte, infatti, non hanno la capsula. Proviamo i vini Vola Volè, una linea pensata per produrre vini quotidiani, ma non per questo banali, a partire dalla vinificazione: sono prodotti infatti avviando la fermentazione con una selezione di lieviti estratti dal polline proveniente dalla flora locale. Il richiamo alle api è ben presente sulla simpatica etichetta, a forma di alveare e sulla quale è raffigurata la “danza scodinzolante” che le api esploratrici effettuano quando al rientro dalla perlustrazione vogliono comunicare alle altre compagne di alveare informazioni preziose per raggiungere una fonte di cibo. Il Pecorino e il Montepulciano non hanno la pretesa di strabiliare ma riescono perfettamente nell’intento principale: quello di farsi bere. Hanno aromi primari ben definiti e – specialmente il Pecorino – molto fruttati, con evidenti profumi… di miele. Li ho trovati molto buoni, semplici e tutt’altro che scontati. Bravi.

Cambiamo zona e facciamo un simbolico volo fino al Piemonte dove ci attendono Luca Pinelli Gentile e la moglie Angela di Castello di Tagliolo. Luca mi chiede subito se conosco Ovada e il suo territorio. Devo esordire ammettendo la mancanza, ma Luca non si scoraggia e – ancor prima di farmi provare i vini – mi sciorina una serie di motivi a contenuto eno-gastronomico che mi convincono a fare quanto prima una gita nell’Ovadese. In effetti non ho buoni motivi per giustificare questa macchia nel mio pur ampio curriculum di enoturista, tanto più che Ovada ha una trazione vinicola di tutto rispetto. Sono convinto, andrò presto ad Ovada, lo giuro su Bacco. Come premio Luca mi regala una piccola perla di conoscenza, l’origine della parola Dolcetto che deriverebbe da dusset, termine dialettale con il quale si indicano le dolci colline tipiche del Monferrato e – appunto – dell’Ovadese, zona vocata alla coltivazione di questo vitigno. Lo Spumante del Castello 2017 è uno charmat lungo da uve chardonnay e sauvignon, extra dry di bella espressione, beverino e di volume carbonico perfetto. Ovada 2015 è un dolcetto in purezza, solo acciaio. Privo delle sfumature viola che spesso caratterizzano il dolcetto, manifesta personalità da vino importante, e non solo nel colore. I profumi sono intensi, evoluti, e la bocca appagante. In conclusione il Dolcetto La Castagnola 2013: granato, intenso e potente, aromi a tratti austeri. Manca  forse un po’ di sapidità per i miei gusti, ma è comunque un bel bere. Surprise.

Champagne Cuvée Dèsir di Marguerite Guyot… per brindare a un incontro, anzi per brindare alla prossima edizione di Bottiglie Aperte, già annunciata per il 6 e 7 ottobre 2019. Presentato dagli amici di Winetip, è stato uno degli assaggi top di tutta la manifestazione. Pinot Meunier in purezza, dai vigneti di Damery, in piena Valle della Marna, non manifesta quell’ovvio spartito odoroso di gelatina di frutta tipico del vitigno ma brucia le tappe con una raffica di profumi tostati, senza dubbio salini e solo in fondo un tocco di crema chantilly. Il sorso è da coup de coeur, immediato e perché no? compiacente, diretto e tremendamente beverino. Special Guest.