Venghino signori venghino, che qui c’è il vino buono, cantava nel 2003 Caparezza in Fuori dal tunnel. Al Live Wine 2018, a Milano dal 3 al 5 marzo scorsi, di vino buono ce n’era tanto. A volte anche buonissimo. Se fino a qualche anno fa partecipare a un evento di vini cosiddetti artigianali poteva riservare con facilità qualche brutta sorpresa, adesso il rischio si è notevolmente abbassato. A cosa mi riferisco? Gli enonauti più esperti lo sanno bene: alcuni prodotti di origine tutt’altro che industriale rischiano di regalare aromi non sempre puliti: detto così può risultare incomprensibile che vini al limite del difetto abbiano trovato residenza nelle fiere e nei salotti del bere bene.
Eppure è così: complice una parte della comunicazione specializzata (stampa, blogger, influencer, critici, persino winemaker), il vino con le imperfezioni ha tenuto banco a lungo, sostenuto da una corrente – vagamente snob – virata all’elogio del deficit. Sia che si trattasse di brettanomiceti, di volatile o di ossidazione al limite del pornografico per un certo numero di anni erano numerosi quelli che tolleravano e – anzi – benedivano quella puzzetta, quasi fosse marchio incontestabile di genuinità del vino.
Il messaggio che si voleva far passare aveva una motivazione tipicamente commerciale: captata la tendenza del consumatore ad acquistare vino “naturale”, nella sua accezione più generica possibile, molti produttori ne hanno intrapreso la produzione nel corso di un ventennio, fallendo in parecchi casi l’obiettivo minimo di renderlo gradevole in tutto e per tutto. Occorreva quindi imbellettarlo in qualche modo per garantirne la vendita.
Il mercato italiano, per fortuna, è skillato che di più non si potrebbe e al consumatore italico… non gliela si dà a bere! Per uscire dall’equivoco è bastato poco, perché produrre vino artigianale non significa che debba avere qualche difetto. Proprio no. Il vino imperfetto-ma-naturale è rimasto sugli scaffali e i vignaioli hanno ripreso velocemente a farlo bene, anche con modalità artigianali.
Il Live Wine è un’occasione per tastare il polso al fenomeno del vino artigianale, tanto più che “fenomeno” in quanto eccezione praticamente non lo è più: il boom del vino biologico – per esempio – nel triennio 2014/2017 lo dimostra senza possibilità di errore. Il consumatore, in particolare, ricerca nel vino artigianale caratteristiche di salubrità che altrove fatica a riconoscere. Ma cos’è, quindi, il vino artigianale che si trova al Live Wine? Dal sito dell’evento:
È prodotto e imbottigliato da chi lo segue personalmente in vigna e in cantina, viene da un vigneto che non è stato trattato con prodotti chimici di sintesi, l’uva da cui proviene è stata vendemmiata manualmente e non contiene additivi non indicati in etichetta.
Fantastico. Ecco tre assaggi, tra i molti abbiamo provato: