Barolo, Barbaresco & RoeroLe occasioni per parlare di vini in città, non mancano. L’ultima è dello scorso giovedì, in occasione di Barolo, Barbaresco e Roero, evento annualmente organizzato da Go Wine a Milano.

Durante la serata, tenutasi all’Hotel Michelangelo,  il presidente di Go Wine Massimo Corrado ha premiato due protagonisti del mondo del vino: uno prettamente di comunicazione, Sergio Bolzoni vice direttore di Tgcom e curatore, insieme a Raffaele Cumani, del blog Avvinando e l’enoteca milanese N’ombra de vin, rappresentata da Arnaldo Marini.

L’incontro è stato molto più di un’anteprima delle ultime annate, perché molti produttori hanno fatto degustare annate meno recenti: una bella occasione, tra l’altro, per incontrare volti noti e meno noti dell’enomondo. E attraverso l’amore per il vino per ricongiungersi idealmente a tre territori simili ma diversi, che tramutano in ricchezza le proprie caratteristiche uniche.

Il primo assaggio è per il Roero Patarrone  2014 Giacomo Vico: lo sapete tutti, il nebbiolo da queste parti non è, non può essere e soprattutto non vuole essere un nebbiolo di Langa. Il terreno qui è più sabbioso, friabile, con presenza di argilla calcarea e rocce sedimentarie di origine marina. Il risultato nel calice è generalmente un nebbiolo meno potente e strutturato ma dotato di una vena minerale caratterizzante. Non raggiunge le peculiarità dei più blasonati cugini di Langa o di Gattinara, ma è lo stesso un buon vino: perché è sé stesso. Patarrone ha una componente fruttata importante, di visciola e arancia sanguinella, accompagnata da sensazioni gessose poco frequenti in un vino rosso. Il sorso è di buona bevibilità, struttura da nebbiolo, certo, ma senza sfoggiare i muscoli. Come si può abbinare? Classicamente ai piatti della cucina roerina, come i tajarin con il ragù di salsiccia di Bra.

Qualche metro più in là c’è Isidoro Vajra, con il suo sguardo simpatico e appassionato. Lo conosciamo già da qualche anno, ma non ci stanchiamo mai di sentirlo parlare dei suoi vini, dell’annata, delle prospettive. Ha in degustazione, tra gli altri, il Barolo Bricco delle viole 2014, un’annata che non ha goduto di grande pubblicità sulla stampa specializzata.

Quanto poco vedono ciò che è, coloro che danno i loro frettolosi giudizi su ciò che sembra (Robert Southey)

 Ricordate cosa disse a cavallo della vendemmia? Piogge frequenti, temperature sotto la media, grandinate disastrose furono considerate ingredienti di un’annata da tragedia, specie per i vini del nord Italia. BaudanaPer il Barolo, in particolare, si disse che poteva essere una stagione come la 2005, che dette vini buoni ma non indimenticabili. Ebbene Bricco delle viole 2014 racconta una storia fatta di nitidi profumi fruttati, a tratti balsamici, e di un sorso già pronto – sì già pronto – eppure energico. Il tannino è addomesticato, ma non per questo scialbo. Tanto velluto, di alcol e glicerina, ma anche sapidità spinta e freschezza intatta. Se è un fedele testimone dell’annata, e io penso che lo sia, questo Barolo ha ancora molto da dire. E potrebbe ancora dirci: la prossima volta andateci cauti, con le critiche.
CannubiUltimo ma non ultimo un assaggio che viene dal passato. Ancora un Barolo, da uno dei cru più celebri della denominazione Cannubi. Chiude la serata il Barolo Cannubi Riserva 2012 dei Fratelli Borgogno.
Cannubi non ha bisogno di molte spiegazioni: un lieu-dit dove l’uomo e il cielo entrano in contatto attraverso la vigna. Riconosciuto sin dal 1752, è il luogo mistico dove i suoli di due epoche si abbracciano, formando marne blu-grigiastre, ricche di magnesio e manganese. Bacco ha consacrato questa collina, riparandola dalle perturbazioni e dai venti e donandole un microclima unico.
Il vino di Serio e Battista Borgogno porta già nel colore e nella luce i tratti distintivi dell’aristocrazia. Al naso è orgoglioso senza eccedere, come un re senza orpelli ma dalla preziosissima corona: polpa di more e fragoline di bosco, sbuffi di cannella e tocchi mentolati di resina di pino. Preciso e misurato in bocca, tannino ancora un po’ sferzante e lunga persistenza. Noblesse oblige, è un vino che esige un accompagnamento pregiato, come un cosciotto d’agnello.