C‘è un angolo d’Italia che può vantare tradizione vinicola al pari di parecchie zone vocate del Belpaese: un territorio dove si fa vino e si vive di agricoltura da sempre e dove si svolge annualmente una festa del vino importante e molto frequentata.
Stiamo parlando di Usini, piccola cittadina in provincia di Sassari, in piena Logudoro: è poco più di un borgo, con poco più di quattromila abitanti, molti dei quali dediti alla coltivazione di ulivi, dei carciofi e, naturalmente, della vite. Non è il numero degli abitanti a rendere importante un territorio, ma la loro storia: e infatti Usini è protagonista negli ultimi anni, insieme a Tissi e Ossi, della (ri)scoperta del cagnulari, un vitigno che era destinato a sparire.
Il vitigno
Il cagnulari è diffuso in tutto il Mediterraneo e conosciuto con nomi diversi: in Spagna è noto come graciano e recenti studi sul DNA hanno evidenziato una sovrapposizione genetica con altri noti e nobili vitigni come il moristell. Le origini del vitigno non sono certe: una delle teorie più diffuse sostiene che sia stato introdotto sull’isola dagli Aragonesi.
In Spagna raramente viene vinificato in purezza, mentre in Sardegna – specie negli ultimi anni – i viticoltori gli stanno dando una identità forte e riconoscibile, attraverso la DOC Alghero e la IGT Isola dei Nuraghi.
Il cagnulari ama i terreni calcarei, ha una buccia spessa e molto scura. Ha una base di partenza molto acida, il che significa che la Natura ha detto all’Uomo: fanne un vino destinato a sfidare il tempo. Come spesso succede ai vitigni con rese basse ha rischiato l’estinzione e solo grazie alla tenacia di pochi produttori è ancora nei nostri calici. Carpante è uno di questi.
I vini di Carpante
L’azienda, a conduzione familiare, ha i vigneti a Usini, a 250 metri sul livello del mare. E ha come obiettivo di vinificare seguendo le tradizioni del territorio, senza scimmiottare altre realtà, seppur geograficamente vicine. Iniziamo con il Vermentino 2016: di recente apprezzo sempre più i vermentino sardi. Qui mi trovo di fronte a un naso minerale non troppo fruttato, sorso sapido e un corpo slanciato con una punta alcolica leggermente fuori fase. Nell’insieme è un vino armonico, che si fa bere facilmente senza affanni. Quello che ci vuole su un’insalata di mare tiepida.
Col Carignano del Sulcis 2016 passiamo alla batteria dei rossi: profumi netti di mora e pinoli, prugna secca, uno sbuffo speziato e di caffè, tabacco biondo. Anche qui alcol inizialmente fa sentire il proprio respiro ma nel tempo di un paio di sorsi ritorna integrato. Subito dopo è il turno del Cannonau 2016: leggera sovramaturazione avvertibile al naso, che spicca per pulizia ed è scevro da eccessi.
Al sorso non c’è traccia di sregolatezze, anzi: lineare, direi semplice, ma non per questo banale. Tannino rigoroso, centrato. Finale ricco, con ritorni di caffè, corteccia e liquirizia.
E infine il Cagnulari 2016, il core business dell’azienda. È giovane, si capisce subito. Ma fa promesse importanti: dal colore intenso eppure acceso, fino ai profumi di more di rovo, sottobosco, carrube. E il sorso, che restituisce la fragranza della sua vitalità, ma appaga con forza, disponendosi con precisione al palato.
Provateli, se vi capita, questi vini: sono vini di territorio e di tradizione, ed è un buon modo per avvicinarsi alla Sardegna, prima delle prossime vacanze al mare.
Atteros annos mezzus e buon vino a tutti!