di Stefano Quatrini – Sommelier e Degustatore Ufficiale A.I.S.
L’aglianico è un vitigno originario della Magna Grecia e il suo nome, secondo diverse fonti, deriva dalla volgarizzazione del termine ellenikon/hellenico in aglianico. Probabilmente ciò non è esatto, ma questo dubbio non ci ha impedito di organizzare una degustazione alle cieca, fra amici sommelier, di aglianico in purezza.
Dall’aglianico si possono, infatti, ottenere grandi vini tant’è che viene spesso chiamato “il Barolo del sud“.
Dato non decisivo, ma è interessante notare che il vitigno è presente solo nel sud Italia e che nelle tre zone in cui è più allevato sono state istituite tre DOCG. Un vitigno che predilige il fresco e i terreni vulcanici e che sa offrire vini eleganti, complessi e longevi.
Senza nascondere l’etichetta, brindiamo con “La Stipula“, spumante metodo classico delle Cantine del Notaio.
Brut, aglianico in purezza, vendemmia 2012 che, dopo una sosta di 36 mesi sui lieviti, viene sboccato nel 2016. Dal perlage fine e naso riservato, colpisce per la sua potenza, freschezza e sapidità che ben rappresentano l’idea della cantina: valorizzare l’aglianico e il territorio vulcanico del Vulture.
Poi si inizia la degustazione alla cieca. Ognuno ha portato una bottiglia coperta dichiarando solo l’anno così seguiamo l’ordine cronologico per il servizio.
Il primo assaggio è un 2012.
Abito rubino, naso intenso e accattivante: frutta rossa matura, ciliegie e amarena soprattutto, subito seguite da una evidente nota tufacea, infine, ricordi di spezie e noce moscata.
Non è complesso, ma piace la sua spontaneità e la nota fruttata così generosa che non stanca ed invita all’assaggio. In bocca colpisce la morbidezza nonostante i tannini ben presenti e subito è dibattito: è tannico o abbastanza tannico? I tannini ci sono, senza dubbio, ma sono eleganti, fini, non infastidiscono.
Poi in bocca ritorna la frutta quasi dolce, morbida e rotonda che dona un finale lungo. È il “Cevotiempo” dell’azienda Torricino di Stefano Marzio ed è un Taurasi Docg.
Sosta 24 mesi in botti grandi di rovere prima di affinare per altri 12 mesi in bottiglia. Un vino subito pronto e godibile, ma che sicuramente non deluderà fra qualche anno.
Il secondo vino alla cieca si fa indovinare dalla bottiglia pesante e importante: è “La Firma” delle Cantine del Notaio, anno 2011.
Il colore è un rubino impenetrabile, consistente e con un naso complesso e mutevole: ciliegie e amarene mature, ma anche sotto spirito, olive in salamoia, frutti di sottobosco, lamponi e more, fiori appassiti, note di tabacco dolce, noce moscata, ricordi balsamici su sfondo minerale. In bocca caldo e avvolgente in perfetto equilibrio con freschezza e sapidità.
E i tannini? Fitti, perfettamente integrati e levigati. Finale lungo con eleganti note di vaniglia e frutta rossa matura.
Il vino successivo è stato per me una rivelazione piacevolissima, il vino della serata (c’è sempre un vino della serata!).
Amore a prima vista o meglio… al primo naso. Un vino che si capisce subito che ha una sua personalità e un suo carattere. Anche questo è un rubino impenetrabile, quasi denso, non limpido tanto da rivelare che non c’è stata filtrazione.
I profumi ti ammaliano subito a partire dalla frutta rossa matura, ciliegie ed amarene, ma anche prugne essiccate, marmellata, mirtillo e mirto. Poi spezie, pepe e noce moscata, foglie di tabacco, cacao, fiori “carnosi”, rose rosse ormai sfiorite, note balsamiche: il tutto su sfondo di pietra focaia.
La bocca mantiene la promessa del naso: caldo e avvolgente è un vino irruento e, al tempo stesso, elegante, un vino che non stanca grazie alla grande freschezza. Il finale è lunghissimo. È il “Poliphemo” di Luigi Tecce, vendemmia 2009, Taurasi docg. D’impatto anche l’etichetta illustrata da Vinicio Capossela.
Il vino è prodotto dalla vinificazione di una vigna impiantata nel 1930 e sono state prodotte solo 4.600 bottiglie (oltre a 100 magnum) e quella da noi bevuta è la n. 800.
L’intento di Luigi Tecce, vignaiolo naïf ed autodidatta, è raggiunto: fare un vino con l’aglianico per raccontare il territorio campano. Senza seguire nessuno, se piace bene, altrimenti saluti. A me è decisamente piaciuto.
Si difende bene anche il vino successivo, che sconta il fatto di seguire un campione. È il “Le Drude“, anno 2007, di Michele Laluce, Aglianico del Vulture doc, altro piccolo vignaiolo, questa volta del Vulture, di Ginestra. Ancora un rubino fitto e scuro, un po’ cupo.
Al naso è intenso ed elegante caratterizzato da una nota polverosa, minerale, vulcanica che introduce un’alternanza di frutti rossi maturi e spezie, ciliegie e lamponi e pepe e radici.
In bocca mantiene l’eleganza riuscendo a domare i tannini e ad offrire un sorso coinvolgente ed appagante che ripropone la frutta rossa, la liquirizia e le more per una chiusura non solo minerale. È un vino austero.
A rappresentare il Taburno abbiamo il “Vigna Cataratte” di Fontanavecchia, una riserva del 2007. Ancora un grande vino dal colore rubino compatto che al naso rivela i suoi dieci anni: la solita frutta matura che caratterizza l’aglianico è affiancata da una nota gessosa, quasi rugginosa, solo in seguito danzano note balsamiche, spezie dolci e il tabacco.
In bocca, invece, freschezza, sapidità e i tannini ancora pungenti anche se ben levigati confondono e spiazzano: è un vino ancora pronto che può invecchiare bene, forse anche migliorare ancora.
L’ultimo vino alla cieca è ancora “La Firma” delle Cantine del Notaio,
questa volta 2001. Come nel vino assaggiato prima, si ritrova la stessa complessità, gli stessi profumi di frutta matura, spezie, note balsamiche e anche in bocca la struttura, l’equilibrio e l’eleganza confermano che si sta bevendo un grande vino.
Pur essendo trascorso un decennio in più non dimostra segni di cedimento, le durezza del sorso fanno intendere ancora un lungo futuro. Dispiace un po’ che non abbia mostrato una maggiore evoluzione. Rimane un grande vino che sa raccontare il Vulture.
Infine, la serata si conclude con un “sorso di dolcezza” grazie al “Ra!” vino prodotto da uve aglianico surmature dei Viticoltori De Concilis di Prignano Cilento (Salerno).
Un vino passito, concentrato di marmellata, visciole e mirtilli, giustamente dolce e rotondo in bocca. Un dolce finale, fra chiacchiere, risate, commenti e progetti futuri che i bei vini assaggiati hanno stimolato e accresciuto.