Ci sono nozioni nel mondo della comunicazione del vino che si imparano in fretta, si mandano giù come pillole zuccherate e non si dimenticano più. Una fra queste, tra le più gettonate se non la più gettonata in assoluto, è:
I [vignaioli] francesi sanno fare squadra. Non come in Italia.
Questa affermazione – che a furia di ripeterla diventa assioma – ha spesso una variante, specie in ambito lombardo:
I [vignaioli] francesi sanno fare squadra. Non come in Oltrepò.
Ebbene sì. Da quando frequentiamo questo circuito meraviglioso, questa frase l’abbiamo sentita centinaia di volte e badate bene: a pronunciarla sono quasi sempre i protagonisti, i produttori oltrepadani.


Non è questo il momento per analizzare la veridicità dell’affermazione e scandagliare la storia vitivinicola del territorio ma cogliamo l’occasione di spendere questo succoso aneddoto per introdurre alcuni assaggi fatti in occasione di una serata organizzata da Gowine lo scorso 20 ottobre a ll’Hotel Michelangelo di Milano, dedicata proprio all’Oltrepò.

Diciamo subito che la curva qualitativa media era sì alta ma anche molto variabile: si poteva assaggiare qualcosa di veramente molto buono e – ogni tanto – qualcosa che non assaggeremmo ancora volentieri. Dopotutto la grandezza di un territorio, in termini qualitativi come quelli geografici, si misura anche così.  

Francesco Quaquarini

Golosa e beverina la Bonarda La riva di Sass 2015: decisamente più secca di altre, offre oltre all’esuberanza tipica del vino anche una discreta dose di nobiltà gustativa che la pone bene in evidenza.

Tenuta Belvedere

L’azienda condotta da Gianluca Cabrini coniuga tradizione e innovazione, un binomio che spesso troviamo in Oltrepò. Proviamo il M’Ami Extra Brut, pinot nero in purezza. Bollicina non finissima ma profumi molto nitidi, gusto fruttato e di carattere, genuino e diretto. Avete una frittura di pesce in programma? È il vino che fa per voi.

Rebollini Brut Nature
95% pinot nero e 5% chardonnay. Secco come piace a noi, fresco come piace noi, dritto come piace a noi. Devo aggiungere altro? La struttura varietale del pinot è importante ma non stona e ci piace pensare che anche quel 5% di chardonnay abbia la sua fondamentale importanza. Versatile e affidabile.

Bonarda 2015, croatina 100%: semplice,beverina, forse con un leggero residuo zuccherino sopra le righe ma non per questo spiacevole, anzi. Compagna insuperabile di serate in osteria a pane e salumi.

La Barbera ci attira per l’etichetta in cui si riproduce un cinghiale stilizzato, una illustrazione di Riccardo Guasco. Scorbutica, timida, certamente acida come una barbera deve essere. Per chi ama il genere hard.

Per chiudere, Vercesi del Castellazzo, un Pinot nero del 1998. Nulla a che vedere col pinot nero altoatesino o di Borgogna. Si sa. Ma qui abbiamo altre caratteristiche, di nerbo, di carattere, di longevità insospettabili in questa varietà a queste latitudini. Un vino di manico. 

Tornando all’acino della presunta discordia tra produttori oltrepadani, noi non sappiamo se in Oltrepò sono estremamente parcellizzati, hanno colture/culture variegate o altro. Sappiamo, invece, con certezza che il territorio offre numerose varietà di uva e numerosissimi tipi di vino. Sarà forse qui il casus belli che divide i nostri vignaioli? Non sarebbe meglio concentrarsi su pochi vini, ma sempre e comunque ben fatti? Ai futuri bevitori d’Oltrepò l’ardua sentenza.