Bottiglie di Tokaji ricoperte dal cladosporium |
Non meno interessanti sono le persone: uomini e donne che amano la loro terra, finalmente usciti da una bolla durata cinquant’anni, dalla Seconda Guerra Mondiale fino al crollo del muro di Berlino: in quegli anni, la produzione del Tokaji era rivolta prevalentemente all’URSS, privilegiando la quantità piuttosto che la qualità, fatto che nel corso degli anni portò a un impoverimento della cultura vitivinicola locale.
La confluenza dei fiumi Tibisco e Bodrog a Tokaj |
E Louis XIV definiva il Tokaji: “Vinum Regum, Rex Vinorum”. Grandi annate per questo vino restano il 1993 anche se in quegli anni i produttori erano ancora un po’ impreparati, poi il 1995, il 1999 e il 2006.
Le cantine Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco |
Sarà perché qui sono Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco quelle famosissime cantine di Hercegkút, costruite dagli abitanti per sfuggire alle razzie degli ottomani. Gallerie dove venivano conservati soprattutto merci, beni e soprattutto quelle straordinarie uve.
Ho anche avuto la fortuna di trovarne una aperta: sono ancora utilizzate dagli abitanti del posto, che, ovviamente, producono in proprio, modeste quantità di Tokaji.
Un’ultima annotazione: Furmint, Hárshevelű producono anche degli eccellenti secchi di immensa gradevolezza. Provateli perché non c’è da rimanere delusi.
Voglio segnalare alcuni piccoli produttori, non facilmente reperibili sul nostro mercato (ma io intanto vi consiglio il viaggio!).
Un inizio strepitoso grazie a Orozs Gábor con un Tokaji Azsú 6 puttonyos del 1999. Un colore oro brillante, naso di albicocche e spezie dolci e in bocca perfetta corrispondenza gusto-olfattiva.
Bott Pince – Judit Bott, incredibile e giovane viticoltrice, innamorata del suo territorio, ci ha fatto assaggiare i suoi vini, prodotti in poca quantità tanto da essere riuscita a portare a casa solamente un ottimo Kulcsár Tokaji Hárshevelű secco del 2013.
I suoi vigneti sono prevalentemente su löss che dà ai suoi vini una spiccata mineralità. Verticale di 4 fantastici Tokaji e addirittura un’Ezsencia.
Assaggio e mi porto a casa: 2006 Tokaji Azsú 6 puttonyos (che vorrei dirlo, ho condiviso poi con gli altri appuntisti): annata calda e asciutta, poca botrytis, macerazione lunga in botti nuove, alcol 10° vol., 230 gr/l zucchero con 8,8 di acidità.
Il cladosporium (ma scopro che in realtà le muffe di queste cantine sono molte molte di più) ricopre come un tappeto di velluto queste magnifiche cantine, dove sbalordita trovo persino delle bottiglie del 1902…
In una splendida dimora restaurata, la degustazione a tavola (nel percorso avevamo anche assaggiato il loro ottimo Mandolás, Furmint secco) prosegue con una verticale di 5 puttonyos: 2008, 2006, 2000, 1999, 1988, 1972.
2006 Tokaji Azsú 5 puttonyos: un’annata fredda con un’estate fresca con qualche pioggia e un autunno ideale. Acini di prima qualità, un perfetto equilibrio tra acidità e zucchero. Profumo e gusto di cera d’api e di albicocca disidratata.
1972 Tokaji Azsú 5 puttonyos: imbottigliato nel 1995 profumo di mallo di noce, miele, prugna essicata, poi la dolcezza passa pian piano in secondo piano per lasciare posto al tabacco, al cioccolato, al caffè. Un millesimo davvero straordinario.
István Szepsy mostra la terra di Szent Tamás |