L’etichetta, una piccola opera d’arte |
Chissà se Marziano Vevey prova sensazioni simili quando passeggia tra i suoi vigneti sparsi qua e là tra Morgex e La Salle mentre si prende cura dei suoi grappoli di prié blanc. Chissà se coltiva le sue uve nel freddo pungente della Val d’Aosta e intanto pensa a estrarne profumi di frutti tropicali quali ananas, lime e maracuja, piuttosto che pompelmo e pera. Bisognerebbe chiedergli se l’impronta idrocarburica che caratterizza il suo vino è una emulazione di quella dei riesling della Mosella, luogo magico che forse ha visitato e gli è rimasto nel cuore. E’ probabile che dall’alto delle sue vigne, tra le più alte d’Europa a 1200 metri d’altitudine, intraveda idealmente un noccioleto piemontese e desìderi averne uno, perchè è proprio un finale amaricante di nocciole a caratterizzare la chiusura del suo blanc.
Una sola cosa è certa: il bianco di Marziano Vevey non ha profumi, ha desideri, sogni, immaginazione. Col suo prié blanc si può sognare senza necessariamente dormire, si può immaginare pur non essendo più bimbi e si può viaggiare senza spostarsi dalla propria poltrona. Una bussola, posta vicino al calice, rischierebbe seriamente di impazzire: i profumi che caratterizzano luoghi del sud, est, oriente e occidente del mondo sferzano in questo calice come il vento di montagna batte sulle vigne di prié blanc, basse e perciò ben salde al terreno, quasi a voler rivendicare il legame con la loro terra madre, quasi a voler ribadire l’identità e l’appartenenza ai giganti rocciosi valdaostani. Questo senso di appartenenza Marziano Vevey l’ha saputo trasferire nel suo vino, riuscendo a far entrare il mondo intero in un calice della piccola grande Val d’Aosta.