Quando le tappe della vita vengono scandite con forza, il segno tangibile che le caratterizza resta visibile nel tempo. Succede con la musica, o più prosaicamente con i traslochi, con un nuovo mazzo di chiavi o un nuovo numero di telefono. Per un sommelier può accadere con un vino: una traccia liquida ma indelebile, volatile e perenne allo stesso modo.
Federico Graziani già a 19 anni era sommelier e a 23 era il migliore, tra i suoi colleghi. Un predestinato, per chi crede al fato.
In una bella serata organizzata da Ais Milano, Federico ha ripercorso dieci tappe della propria carriera attraverso altrettante fasi, altrettanti vini, altrettante persone.
La fase della Scoperta, per esempio, attraverso il lavoro al ristorante Gigiolè di Brisighella e Remo Camurani ne era il sommelier. O l’Intelligenza, con il ristorante Gualtiero Marchesi, a Erbusco nel 1996: dopo il colloquio con il grande chef per essere assunto come sommelier, Marchesi chiese a Federico delle impressioni. Graziani si disse contento, ed affermò “Farò bene, perché ho molta buona volontà.” Gualtiero Marchesi gli rispose “Può darsi. Ma senza l’intelligenza, la buona volontà non basta“.
E l’Umiltà. La dote migliore per un sommelier. L’esperienza presso Il luogo di Aimo e Nadia, a Milano nel 2002. Federico spiega che non potendo fare una carta dei vini ampia quanto quella del ristorante precedente, ebbe l’idea di personalizzarla, con criteri diversi che non fossero quelli geografici tout court, adottando come parametro l’espressione del terroir o “nuove tecniche antichi saperi”, vale a dire i prodotti provenienti da agricoltura biodinamica. Al sommelier può capitare di dover comunicare il vino misurandosi con impegni economici diversi e una buona dose di umiltà, quindi, può risultare determinante per la riuscita della propria mission.
Ed ecco i dieci vini che abbiamo bevuto, i dieci passi che abbiamo compiuto, insieme a Federico Graziani, con alcune brevi note di degustazione:
1. I vini della gioia: Collezione Grandi Cru, Cavalleri. Molto fine, elegante. Ampi profumi di pasticceria e frutta gialla matura. Fresco, sapido, agrumato e minerale. Perfettamente corrisposto al gusto. Precisione tecnica assoluta.
2. I vini della montagna: Lieben Aich, Manincor. Naso burroso e distinto. Consistente. Frutta tropicale e vegetale. Salvia. La bocca è completa, ampia ed appagante. Sauvignon atipico e attraente.
3. I vini del vento: Morus Alba, Vignai da Duline. Naso apparentemente chiuso. Camomilla e fiori bianchi, in bocca esplode di sapidità e mineralità.
4. I vini del mare: Fiorduva, Marisa Cuomo. Grande impatto olfattivo, suadente e armonico. Sinfonia di aromi di fiori. Armonico anche in bocca, che impegna senza stancare. Finale ammandorlato.
5. I vini del sole: Pruno, Drei Donà La Palazza. Sentore di legno sovrastante, viola e visciole. Alcol in abbondanza. Va atteso.
6. I vini del fuoco: Profumo di Vulcano, il vino di Federico Graziani. Frutta e legno. Ha ancora qualche spigolo in evidenza nonostante l’uso del legno ben dosato. Da riprovare per valutarne l’evoluzione.
7. I vini della terra: Serpico, Feudi di San Gregorio. Visciole e terra. Nerbo energico contrastato dall’alcol. Naso di terra e alcol, potente in bocca.
8. I vini della tradizione: Chianti classico riserva, Castell’in Villa: naso di cioccolato e geranio, naso polveroso e di pietra focaia. In bocca è multiforme, spaziando tra energie e complicità.
9. I vini degli uomini: Novecento, Podere il Santo. Uomo prima del territorio. Sentori di frutta ed erba sfalciata, il naso è dinamico, barbera di personalità immensa.
10. I vini della meditazione: Vecchio Samperi ventennale, Marco de Bartoli. I sentori ammandorlati, quasi esotici precedono una forza secca e gentile, interminabile nel gusto e nei ricordi. Vero viaggio interiore, vera meditazione.