Il piacere di avere dei buoni amici si concretizza a volte anche nella condivisione di una buona bottiglia, senza preavviso. Non è necessario una cena sofisticata o il tovagliato “buono”, bastano due calici e qualcosa da mettere sotto i denti.
Mercoledì @gio_silver ha suonato alla mia porta portando con sé un pezzo da novanta, il Barolo Cascina Francia di Giacomo Conterno, annata 2003. Non l’avevo mai bevuto e vedere quella etichetta sul mio tavolo… beh, mi ha proprio fatto piacere.
L’azienda Giacomo Conterno non ha bisogno di lunghe presentazioni: è uno di quei nomi che incarnano lo spirito langarolo coniugandolo a una lunga tradizione vinicola. Giovanni prima e Roberto ora proseguono il percorso tracciato da Giacomo agli inizi del Novecento. Dopo un lungo periodo in cui le uve venivano acquistate, nel 1974 l’azienda acquisì i quattordici ettari del vigneto Francia a Serralunga d’Alba, tracciando il primo passo verso quello che sarà uno dei Cru più celebri del Barolo.
Il successo è giunto soprattutto grazie al Monfortino, un barolo ottenuto da una rigida selezione delle migliori uve del vigneto Francia, dal quale provengono anche le uve utilizzate per il barolo e la barbera Cascina Francia.
L’annata 2003 è stata straordinariamente calda, siccitosa, con scarsa escursione termica e conseguentemente è stato difficile garantire una maturazione delle uve ottimale. Più di qualche produttore ipotizzò di non produrre barolo per quell’anno, salvo poi ricredersi di fronte ai primi assaggi, a evoluzione in corso. In più di un caso l’annata ha dato vini pronti quasi da subito e meno predisposti all’invecchiamento.
Il Barolo Cascina Francia è il frutto della vinificazione tradizionale, lontana da certi stratagemmi da cantina e soprattutto lontanissimi dalle barrique, ritenuta inutile intermediario tra il terroir ed il calice.
Veniamo alla nostra bottiglia.
Il rito dell’apertura e del primo assaggio è avvenuto in rigoroso silenzio, come si confà al cospetto di un nobile vino. Ci impieghiamo un po’ a raggiungere la temperatura adeguata, che si assesta ai diciotto gradi. Pinzo il calice molto lentamente e inizio ad osservare il colore, un rosso rubino non troppo pigmentato; la consistenza è significativa.
Inspiro i primi aromi e sono di intensa violetta, amarena spiritata, terra e caffè; aspettiamo entrambi ancora qualche minuto prima di assaggiarlo. Lasciamo che il nostro olfatto catturi ancora sbuffi di ribes e tabacco, poi nitido bastoncino di liquirizia e nota balsamica. Elegante fino allo sfarzo, il naso ci inebria e ci appaga.
Il gusto appare inizialmente coerente: naturalmente il tannino è in bella evidenza, integrato ma non amaro; bella corrispondenza fruttata e sapidità ben avvertibile, forse a causa di una flessione dell’acidità. In bocca è avvolgente e regala ancora durezze tuttavia non ravviso il vigore che mi aspettavo e anche i sorsi successivi mi fanno propendere che col tempo questa bottiglia, no, non poteva migliorare. Nel calice ci sono i limiti di una annata difficile che solo in qualche caso ha saputo dare barolo all’altezza del nome. Nonostante tutto siamo davanti un vino austero, di personalità, non più dinamico ma assestato su livelli qualitativi molto alti, rigoroso, in linea con un prodotto testimone della tradizione vinicola barolista.