Molti di voi ricorderanno certamente Stargate, un film del ’94 campione di incassi in quegli anni. Per chi non avesse avuto modo di vederlo (e non spoileriamo nulla, tranquilli), la trama racconta di un misterioso enorme anello ritrovato in uno scavo archeologico in Egitto, che dopo vari decenni si scopre essere il portale per accedere a un altro pianeta. Nessuno però riesce a capire come esso funzioni, fino a quando arriva il super espertone di geroglifici di turno che, in barba agli studiosi dell’esercito che da sessant’anni cercano di svelarne il mistero, codifica in quattro e quattr’otto i simboli misteriosi incisi sull’anello, simboli che altro non sono se non delle costellazioni le quali, allineate nella giusta sequenza, forniscono le coordinate stellari che aprono un wormhole per un nuovo pianeta.

Ora voi starete giustamente controllando l’indirizzo di questa pagina, perché avete digitato Parole di Vino e non Parole di Cinema o Parole di Astronomia. Non avete assolutamente sbagliato, siete sulla pagina giusta (per inciso, onde evitare futuri dubbi, aggiungeteci ai preferiti, se ancora non lo avete fatto) e il motivo per cui abbiamo citato il sopracitato film (scusate la ridondanza) è che quando abbiamo provato il Gattinara Osso San Grato 2010 di Antoniolo, per noi è stato come se si fossero allineati tutti i pianeti del Sistema Solare, che nel nostro caso sono le componenti sensoriali e strutturali del vino, aprendo lo Stargate del piacere.

Tutto in quegli assaggi era al posto giusto, con la giusta incidenza e presenza nel bicchiere, in bocca, nel ricordo. Ok, abbiamo avuto la fortuna di aprirlo probabilmente nel suo momento migliore, di massima espressione, ma è stato bello partire con quel colore granato con l’unghia aranciata. Il naso si è presentato suadente e morbido, con profumi di geranio e coriandolo, iris in fiore e sbuffi di cannella.

La bocca ha regalato note di prugna, arancia sanguinella, tabacco dolce da pipa e fave di cacao. L’acidità si è presentata ed è andata via nei giusti tempi, come un navigato attore di teatro. C’era anche una bella mineralità, gentilmente donata dal sostrato di origine vulcanica sui cui le uve crescono (il Supervulcano Valsesia, riconosciuto come Geopark Unesco nel 2013). L’alcool era perfettamente integrato, a dispetto del volume alcolico di 14.5. I tannini, come una scia di asteroidi, scorrevano lievi senza compromettere il sorso, lasciando solo una piacevole stardust.

Naturalmente il merito di questo nostro viaggio eno-spaziale è tutto della famiglia Antoniolo, come loro è il merito del finale a lieto fine, che nel nostro film altro non è stato che la bottiglia vuota… il nostro Oscar è tutto per loro!