Se vi piace il vino quasi certamente vi piace viaggiare. Nel vino stesso è intrinseco il concetto di ricerca: gli enoappassionati non si accontentano di bere le stesse cose, ma desiderano ardentemente provare nuove cose, mettersi alla prova con nuove sensazioni e il miglior modo per farlo è viaggiare.

Fare enoturismo, parlare con i produttori, visitare le cantine, toccare con mano e guardare di persona i luoghi dove nasce il vino. La curiosità dovrebbe essere la molla di ogni winelover: scoprire la cantina significa catapultarsi nel mondo dei vignaioli, vivere un luogo dove speranze e progetti hanno inizio e fine. 

L’associazione Go Wine ha fatto propria la filosofia del binomio viaggio – vino, trasmettendola persino alla Guida “Cantine d’Italia 2016, la guida per il turista del vino” che anche quest’anno è stata presentata in esclusiva all’Hotel Michelangelo di Milano lo scorso 3 dicembre. La guida non si limita alla valutazione del vino ma prende in considerazione un parametro essenziale per l’enoturista: l’accoglienza, intesa come gestione dell’agriturismo o ristorante, oppure la disponibilità a ricevere pubblico, promuovere in cantina iniziative culturali o manifestazioni.  

Le cantine protagoniste della Guida sono oltre 700, di cui 231 premiate con “L’impronta di Go Wine“, assegnata a coloro che hanno ottenuto il più alto punteggio complessivo nelle valutazioni su Sito, Accoglienza e Vini. Per ogni cantina è segnalato il Vino Top, oltre agli altri che la redazione di Go Wine ha voluto segnalare, lasciando al lettore ampio margine per una valutazione soggettiva. Complessivamente i vini segnalati sono oltre 3.800.

Massimo Zanichelli in apertura di guida ha intervistato dieci uomini e donne del vino, tracciando un percorso fatto di storie e di persone; un trait d’union che ritroviamo in tutto il volume e naturalmente in tutte le dizioni precedenti. Perché il vino è fatto dagli uomini e starli ad ascoltare aiuta a comprendere cosa vogliono trasmetterci con il loro vino. Zanichelli cita alcuni dei dieci protagonisti: Sergio Germano, Filippo Rondelli, Andrea Picchionni.

All’Hotel Michelangelo c’eravamo anche noi: abbiamo assistito alla consegna di sei premi speciali:

Premio Alto Confort per il Relais aziendale dell’anno a Castello di Razzano (Alfiano Natta, Piemonte);

Premio Cantine Golose per la Tavola aziendale dell’anno a Ristorante Il Falconiere – Baracchi (Cortona, Toscana);

Premio Cantine Meravigliose per l’EnoArchitettura dell’anno a Villa Sandi (Crocetta del Montello, Veneto);

Premio Autoctono si nasce al Furore Bianco Fiorduva – Marisa Cuomo (Furore, Campania);

Premio Buono… non lo conoscevo! alla Pergola Aleatico superiore Grifoglietto – Villa Ligi (Pergola, Marche);

Premio Vini Storici d’Italia a Barolo Oddero Poderi e Cantine (La Morra, Piemonte).

Il banco d’assaggio naturalmente era ben rappresentativo, con tutti i Vini Top delle aziende premiate.
Unica nota dolente della serata: la gestione dei tempi, con le premiazioni che sono andate avanti ben oltre le 18.30 programmate, con il risultato che gli appassionati si accalcavano alle spalle della sala, a volte rumorosamente. Forse una sala più grande avrebbe giovato.

Tornando al banco d’assaggio ecco una nostra selezione: piccoli o grandi nomi da segnare, persone da andare a trovare e con cui scambiare quattro chiacchiere.

Barone di Villagrande Etna Bianco Superiore 2014. La storia dell’azienda meriterebbe altri spazi ed approfondimenti. Basti pensare che la cura dei vigneti aziendali e la produzione di vini di qualità indussero già nel 1726 Carlo VI d’Asburgo a concedere a Don Carmelo Nicolosi il titolo di Barone di Villagrande. 

Da allora oltre dieci generazioni si tramandano il patrimonio di tradizione e conoscenze indissolubilmente legato a queste terre. L’Etna Bianco Superiore è un carricante in purezza dalla spiccata nota minerale, a tratti iodata e sbuffo erbaceo, che rivela un’estrema giovinezza. Molto fresco al palato, risulta ancora un po’ slegato, poiché ha bisogno di qualche mese di riposo ancora. Lo premiamo, tuttavia, in quanto ha le tutte le potenzialità del grande vino. Promessa che si manterrà.

Le Velette Gaudio 2010: l’azienda sorge ad Orvieto, una zona di grande tradizione vitivinicola basti pensare che gli Etruschi introdussero la vite già nel VII secolo A.C.

Gaudio è un merlot fruttato con sentori di spezia dolce, balsamico, accenni piacevoli di erbe rosmarino. Bocca croccante ed appagante. Rappresenta bene le potenzialità del merlot umbro, senza orpelli ma con tanta personalità. 

Brezza Barolo Castellero 2011: sull’annata 2011 in Langa si è detto tutto e il contrario di tutto. Inizialmente, essendo stata molto precoce e rese basse, si prospettava da più parti una stagione minore. Noi che la zona un pochino la frequentiamo e qualche voce la raccogliamo, non la pensavamo così. Questo Barolo conferma le nostre impressioni: forse non avrà un tocco di acidità ulteriore e le potenzialità di invecchiamento della 2010 ma di contro è pimpante, fresco. Castellero è essenzialmente molto netto nei profumi, non vi è traccia di ambiguità: viola, frutti in confettura e tanto lampone, appena sfiorati da una carezza vanigliata. Palato in linea con gli aromi, delicato ed avvolgente, senz’altro ancora fresco. In via di evoluzione. 

De Tarczal Husar Marzemino 2012. Nel cuore della Vallagarina, ennesimo esempio di territorio di grande vocazione vitivinicola. Da queste parti si produceva il marzemino destinato alle tavole dell’Impero Austro-Ungarico: noi abbiamo provato Husar su consiglio di un amico giornalista e… aveva ragione! L’incontro con il profumo è lieve e sincero: classico nella nota grassa e burrosa, eppure originale per alcuni lampi esotici. Al palato è fine, la trama tannica è composta e accompagna verso un finale ammandorlato. Un vino da sorriso. 

Endrizzi Gran Masetto Teroldego 2011. Chiudiamo ancora in Trentino, a San Michele all’Adige, crocevia di storia e cultura non solo enologica. La famiglia Endrici si insediò già nel 1885, avviando la viticultura sia con varietà internazionali che autoctone. Il Gran Masetto si offre al naso con spontaneità speziata, innervata da fragranze di ribes e ciclamino, frutta secca ed eucalipto. Grande struttura all’assaggio, l’impronta boisé non è secondaria ma risulta tutt’altro che invasiva, molto piacevole. Ha ancora molti anni davanti. Da trovare e conservare.