È ancora una bella giornata a Genova nonostante le nuvole che sembrano addensarsi. Pioverà ma poco importa. Siamo in tre e siamo diretti a Villa Lo Zerbino per l’undicesima edizione di Terroirvino.

La villa di costruzione seicentesca è uno spettacolo, bellissima, curata, facilmente raggiungibile in autobus dalla stazione Piazza Principe e circondata da un giardino inaspettatamente grande, considerando che  la struttura oggi si trova in centro città.

La sala principale allestita al primo piano è abbastanza ampia. Abbastanza, sì. A dire il vero in certi momenti c’era talmente ressa da farmi desistere da più di qualche assaggio.
So che state pensando “eccone un altro che non è mai contento”, “c’è sempre qualcuno che si lamenta” e così via. Certo che vista dall’altra parte la “ressa” si traduce in un bel successo… E che vogliamo fare. Lamentati se vuoi stare bene diceva mio nonno. Vediamola come una critica costruttiva, ecco.
Detto questo, è il momento degli assaggi e qui non ho difficoltà a fare i complimenti all’organizzazione per la selezione.

Iniziamo con lo Champagne Francois Diligent che sembra il bigliettino da visita all’intera manifestazione in quanto unico produttore al pian terreno giusto appena dopo i desk di registrazione (voluto o dovuto?).


Più o meno tutti, almeno gli addetti del settore, sanno che tradizionalmente nella realizzazione di uno champagne si impiegano chardonnay pinot nero e pinot meunier in purezza o in cuvée. Pochi però ricordano che il disciplinare prevede anche l’utilizzo di altre uve autoctone, dimenticate o quasi, come pinot blanc.
Siamo nella parte più a sud, la Cote des Bars.
Boris produce almeno sei tipologie diverse di champagne. Mi è rimasto impresso il Brut Nature pinot blanc morbido e dolcino, a discapito del non dosaggio, che presenta acidità guizzante e lieve nota di mollica di pane.
La versione brut della medesima base è solo leggermente dosato, quindi più rotondo ma anche più fragrante e croccante in bocca. Nota a margine: entrambi impressionano per beva anche grazie a quel lieve tratto aromatico tipico del pinot bianco.
Solo due righe di menzione speciale per il Trois Pinot, assemblaggio di pinot bianco, pinot nero e pinot meunier. Caso più unico che raro almeno per quanto ricordi.
I sentori sono quelli del distillato, del pane in pasta. È uno champagne con due facce.
Forte e delicato. Acido e morbido. 
Inaspettatamente di successo. 
Per la serie “non tutti sanno che”, sappiate che esiste un motivo valido che ha portato all’esclusione del pinot blanc dalla stragrande maggioranza degli champagne: “Hai solo poche ore per fare la vendemmia, dice Boris. È molto difficile e inoltre lo champagne è di solito un prodotto che punta molto su acidità e finezza e il pinot bianco è in antitesi.”  Sono tutti piuttosto morbidoni i suoi, è vero, e di pronto consumo ma comunque non ricordo di essermi lamentato per carenza di freschezza.
Due parole anche sul Parosè de Il Mosnel sono necessarie. 
È un Franciacorta di confine. 
Già il colore è un caldo oro rosso piuttosto che rosè; alla cieca ingannerebbe ben più di qualche provetto degustatore. E poi la lievissima nota sulfurea, i piccoli frutti rossi di mora, l’acidità citrica, la bolla fine e la rotondità generale. Un’eccezione, insieme a poche altre, rispetto alla mediocrità dei rosè italiani. 

Girovagando nella saletta di sinistra troviamo Armin Kobler e il suo pinot grigio Oberfeld 2014.
Nonostante le grandissime difficoltà di un’annata disastrosa come quella passata (Armin, per dire, ha vendemmiato il 60% rispetto al solito spendendo il doppio) questo Cru di pinot grigio vanta una mineralità notevole e un carattere ben definito che lo rendono semplicemente un ottimo vino.
Frozza è proprio di fronte, me ne hanno parlato bene e ho voglia di provare qualche prosecco ignoto (a me) come il suo Cru Rive di Colbertado.
È un brut molto minerale e fresco che insiste sulle note fruttare di pera e mela renetta ma anche dalla bolla elegante. Giovanni il produttore mi spiega che la menzione aggiuntiva ‘Rive’ è identificativa del Cru e sinonimo di “rese molto basse”.
La bolla poi è fine, finissima in quanto “ha poca chiarifica e quindi è un vino meno magro. In questo modo l’anidride carbonica si amalgama meglio perché ha più roba da aggredire, e risulta molto più fine. Sono vini molto proteici'” dice Giovanni.
E proviamo anche il suo Colfondo in una bella verticale dalla 2013 alla 2008.
È un vino senza etichetta che Giovanni tiene per gli amici anche se sappiamo che come tipologia sta riscuotendo molto successo poiché associato dal consumatore ad un prodotto estremamente naturale. Anche noi di Appunti di degustazione abbiamo imparato ad amarli (e si vede dal numero dei post dedicati).

I colfondo di Giovanni sono simili fra loro ma diversi in generale. Simili perché il lievito aiuta a dare una connotazione, un marchio di fabbrica che attraversa gli anni; diversi perché sia l’annata che l’affinamento giocano un ruolo fondamentale nella caratterizzazione finale. Vi invito a provarli, in verticale come noi per apprezzare queste piccole-grandi differente.
Solo una nota sul 2008: sa di metodo classico. Un’evoluzione che mai avrei immaginato. Eccellente.
In conclusione Terroirvino è un momento di scoperte e conferme che però sancisce il proprio punto di forza in un progetto parallelo studiato per il pubblico. Parlo di Vinix, la piattaforma social tramite la quale effettuare gruppi d’acquisto dei vini assaggiati e risparmiare fino al 51% a seconda delle condizioni… Vi pare poco?
A me no. 
È sempre lui il finale di ogni degustazione seria.
l’edizione limitata 2008 del Ben Ryè
Non dimentichiamoci dell’Ammano
di Marilena Barbera