Di Francesco Cannizzaro, sommelier AIS
Nel periodo di maggior confusione politica ed istituzionale che io ricordi, balza agli onori della cronaca l’exploit alle ultime elezioni del Movimento 5 Stelle. Lungi da me addentrarmi in un periglioso nonché fuori tema argomento politico, vorrei sottolineare l’importanza dei nuovi strumenti di comunicazione e di come anche grazie attraverso web, blog, e di tutto ciò che in generale chiamiamo “Rete”, il M5S abbia costruito il proprio successo.
Uno dei capisaldi del Movimento è conoscenza dei fatti attraverso il web: quotidianamente, grazie alla Rete, è possibile – lo sappiamo – apprendere informazioni, verificarne la veridicità, confrontarne le versioni, apprendere dettagli non divulgati da altri strumenti di comunicazione. 
Analogamente al pensiero politico individuale anche il mondo del vino sta cambiando, stanno cambiando i gusti, proiezione di nuove consapevolezze e conoscenze tutte e soltanto figlie del web: un tempo erano le guide cartacee o le riviste a dettare le tendenze, a tracciare le linee guida degli appassionati più o meno esperti; oggi la Rete sta rosicchiando quello che per molti anni è stato un monopolio incontrastato.

Con un bacino di utenza potenzialmente infinito ove poter attingere informazioni su tutto ciò che orbita attorno al mondo del vino, il web diventerà, se non lo è già, l’ago della bilancia della comunicazione di massa, grazie ai blog, ai siti specializzati e a quelli ufficiali. La Rete non mente: se un vino “X” nell’anno “Y” è al di sotto degli standard di qualità, beh, puoi scoprirlo facilmente. Il web, quindi, fornisce più dati e crea una indipendenza di giudizio, per chi li voglia interpretare, decisamente più forte e se vogliamo anche più credibile. Un esempio: chi avrebbe potuto sapere, diciamo quindici anni fa, che una ricerca recentemente condotta in Francia abbia permesso di appurare che vi sono tracce di pesticidi nel 90% dei campioni presi ad esame (http://www.winenews.it/news/30189/in-francia-solo-il-10-dei-vini-pesticidi-free-nel-90-dei-casi-ci-sono-residui-ma-sempre-sotto-le-soglie-di-legge-cos-il-laboratorio-excell-di-pascal-chatonnet-bordeaux-attilio-scienza-nessun-allarme-ma-in-italia-stiamo-meglio)? La notizia è stata ripresa più volte sui siti e blog enologici e, indipendentemente dal valore intrinseco del dato, può dare il via al dibattito e diventare notizia. 

Si inserisce in questo contesto l’ennesima querelle enologica, nata dapprima da due editoriali e sviluppatosi – anzi direi propagatosi – sui blog. 
Lo scorso mese il Gambero rosso ha difatti pubblicato due autorevoli interventi, a cura di Eleonora Guerini (http://www.gamberorosso.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=334359:il-tormentone-naturale&lang=it&Itemid=5 ) e di Michel Bettane (http://www.aispiemonte.it/aispiemonte/news-dal-web/3183-parole-come-pietre-leggere-michel-bettane-per-capire-dove-tira-il-vento): entrambi gli articoli, con i dovuti distinguo, riguardavano i cosiddetti “vini naturali” . 
L’editoriale di Eleonora Guerini, “Il tormentone naturale” a mio avviso è condivisibile in più parti: non può ravvisarsi nulla di contestabile nel dire che la terra è nostra e va difesa. Meno condivisibile appare il pretestuoso attacco all'(ab)uso del termine “naturale”, in una catena produttiva vasta e in certi frangenti, in effetti, senz’altro poco naturale. L’intervento riporta il dibattito ormai divenuto classico nella galassia enoica: la scelta di produrre “naturalmente” (biodinamico/biologico) è una scelta di qualità o solo un escamotage commerciale?
Possiamo a lungo discutere sull’uso del termine “naturale” e persino convenire sul fatto che l’intervento dell’uomo nella fase di vinificazione (nella accezione più ampia possibile, comprensiva di tutti i trattamenti eventualmente impartiti alle viti e/o al terreno) è così invasivo, in certi casi, che ormai di naturale non vi è più nulla; ma non si può, io credo, liquidare il fenomeno dei “vini veri” a semplice scorciatoia a fine di lucro. Senza alcun dubbio vi saranno pessimi vini, tra i biologici/biodinamici (lungi da me l’idea di valorizzare puzzette e particelle in sospensione) allo stesso modo di come vi sono in circolazione vini a vinificazione “tradizionale” parimenti imbevibili: la differenza sarà data unicamente dall’unico arbitro inappellabile e giusto: il gusto. Sarebbero discutibili correnti di pensiero conservatrici e refrattarie, che difendono oltremodo la posizione, attaccando il nuovo al solo scopo di preservare il vecchio.  
La filosofia dei “vini veri” premierà in futuro perché è inevitabile indirizzarsi verso una produzione più sostenibile, tenendo comunque conto imprescindibilmente del fattore qualità: i numeri, già oggi, parlano chiaro, a testimonianza di un costante calo di fatturato, per le aziende “tradizionali”, dal 2008 a oggi, a beneficio parziale di quelle “naturali” (fonte: http://www.inumeridelvino.it/). Il dato dimostra maggiore sensibilità da parte del pubblico agli argomenti nutrizionisti e salutari intorno al vino e parte del merito va dato, come accennato, alla funzione del web, veicolo di informazioni un tempo poco accessibili. 
L’argomento della qualità assoluta non è nemmeno da affrontarsi, poiché a leggere i nomi delle più importanti aziende vinicole biodinamiche c’è da impallidire (faccio un solo nome: Romanée Conti). La presunta negazione della tecnologia a priori, citata da Guerini, mi lascia ancora perplesso: tecnologia, leggo su wikipedia, deriva da una parola greca e vuol dire, letteralmente, “discorso (o ragionamento) sull’arte”. In questo caso l’arte di vinificare: tecnologia, quindi, non significa obbligatoriamente vasche a temperatura controllabile, fabbricate con materiale di ultima generazione o lieviti selezionati in grado di dare al vino gli aromi che desideriamo scelti in laboratorio. Tecnologia può essere anche ricerca, nei limiti rigorosi del rispetto della terra: infuso di ortica in luogo dei ricostituenti chimici, per esempio. O erba medica tra un filare e l’altro, al posto dei diserbanti.
Anche questa è tecnologia.
Il pezzo di Bettane http://www.intravino.com/grande-notizia/parole-come-pietre-leggere-michel-bettane-per-capire-dove-tira-il-vento/ …. parte da un assioma che fa riflettere. Sembra che il critico, ad inizio articolo, assimili alla categoria dei “vini naturali” quelli che sono semplicemente ed unicamente “senza zolfo”. Tralasciando, per un attimo, le osservazioni che seguiranno, mi sembra una semplificazione poco rispettosa per coloro che, nella indubbia difficoltà in cui si ritrovano i coltivatori biodinamici, studiano sistemi di coltivazione e vinificazione a volte ingegnosi o anche eccentrici ma in tutti i casi rispettosi dell’ambiente. 
Bettane si dice sorpreso dal fatto che numerosi chef scelgano vini naturali da abbinare ai propri piatti, forse volendo sottolineare – implicitamente – che sono altri i criteri con cui tali chef compiono tali scelte, diversi da quelli meramente qualitativi. Personalmente non riesco a credere che uno chef di un certo livello concordi con il sommelier – o peggio decida in prima persona – di far abbinare ai propri piatti dei vini scadenti, esclusivamente per tendenza o per lucro; tradirebbe la vision fondamentale dei locali che vogliono fregiarsi di una certa qualità. Per il resto l’intervento del critico francese è simile a quello di Eleonora Guerini e si somiglia nell’ovvio attacco ai “cattivi vinificatori”; quelli li attacco anche io, nel mio piccolo, senza necessariamente distinguere se siano “tradizionali” o “innovatori”.
Viva il buon vino.
N.d.G. (G sta per Gabriele)
Le opinioni personali, specialmente quelle più “autorevoli” (non parlo di me ovviamente) dovrebbero essere tenute in considerazione. Non è una questione legata a “pubblicizzare” un prodotto o a stroncarlo a priori. I blog, la rete in genere, in un modo o nell’altro, offrono un servizio che, come nel caso di Appunti di Degustazione per esempio, è volto a comprendere come un non professionista, ma fruitore con una discreta esperienza, possa interpretare un prodotto, avere un’idea personale magari con un pizzico di ingenuità; interpretazione che in taluni casi può discostarsi anche notevolmente da quella del sommelier ma che offre anche un punto di vista differente; un’altra faccia della stessa medaglia forse più abbordabile per un pubblico non esperto, che lascia spazio alla componente emotiva piuttosto che tecnica.
Un’informazione tagliata su misura per il proprio pubblico.

Voi che ne pensate?