Il mio amico Gianpaolo Arcobello Varlese, sempre alla ricerca di prodotti nuovi, ha avuto modo di provare il prosecco dell’Azienda Lorenzo Gatti, vediamo come è andata:
Da un po’ di tempo avevo voglia di riprovare un prosecco colfòndo. Il Cà dei Zago  mi era davvero piaciuto e il desiderio di provarne altri della stessa tipologia si era impossessato di me senza soluzione di continuità. Da buono studente mi sono messo a cercare in rete e su qualche rivista settoriale articoli, post, interviste, recensioni e qualsiasi informazione che potesse sfamare (o dovrei dire dissetare) la mia atavica curiosità. 

Dovevo trovare il miglior prosecco colfòndo esistente!!! Navigando sul web ho scovato un articolo relativo a una degustazione alla cieca di otto prosecco colfòndo, e quello che più mi ha colpito è stato quello di Gatti… sì, ok, l’articolo era stato scritto dalla produttrice in persona, Carolina Gatti, per la serie “ti piace vincere facile? ponzi ponzi po po po!!!”, ma dalle sue righe trasparivano comunque apprezzamenti per gli altri vini partecipanti e, più che un giudizio di parte, era palese un sincero amore per il proprio vino. 



Ma cos’è un prosecco colfòndo? Nessun mistero: è un vino spumante che anziché seguire il metodo Martinotti utilizza lo champenoise, con la differenza che non è prevista alcuna sboccatura e quindi il lievito rimane all’interno della bottiglia fino al momento della degustazione; mantenendo la bottiglia in posizione verticale i lieviti esausti tendono a decantare, formando, appunto, il fondo. 
I prosecco colfòndo hanno caratteristiche comuni con i prosecco tradizionali, specie nel profilo olfattivo, ma anche diverse peculiarità proprie: la rifermentazione in bottiglia consente lo sviluppo di solfiti naturali, naturali protettori del vino, che grazie alla presenza dei lieviti risulta anche più complesso e fine.

Torniamo al prosecco Gatti: sull’attuale etichetta è sparita la dicitura “Sur Lie“: Carolina, in maniera molto formale e professionale, mi ha spiegato telefonicamente che la scelta è stata dettata da motivi di copyright. In sostanza i francesi, grazie alla loro fitta rete di agenti segreti e alla loro Intelligence, hanno scoperto il plagio e gridato indignati allo scandalo internazionale appena venuti a conoscenza che qualcuno stava utilizzando una loro dicitura, e quindi sull’etichetta posteriore troviamo ora un semplice, schietto, esauriente, italianissimo e meraviglioso “Vino frizzante“.

In una mail inviatami Carolina mi ha augurato un buon Natale brindando con il suo vino. 
Ammetto che era mia intenzione berne una sola bottiglia come entrèe nel cenone della vigilia, aprendo le altre a 2014 inoltrato… beh, in una settimana ho bevuto quattro bottiglie e chissà quale forza superiore mi sta trattenendo dall’aprire le altre due… perché?



Perché questo prosecco è una meraviglia! Se mi trovassi assetato nel deserto del Sahara, e un tuareg mi offrisse una bottiglia d’acqua o una di prosecco Gatti non avrei dubbi a scegliere il secondo. Andrea Scanzi lo definirebbe un vino “glou glou”, io in maniera più allegorica, ma ugualmente spontanea, vi consiglio di versarlo in un secchio e berlo direttamente da lì. 
A secchiate, senza moderazione (ma poi non guidate).


Ok, mi rivesto da appassionato degustatore e descrivo il vino.

Paglierino leggermente torbido (of course), al primo impatto percepisco uno slancio idrocarburico con accenno sulfureo, al quale segue un’ammaliante nota salmastra, proprio quella che si sente in un’ostrica appena aperta. Spettacolo.

Passa qualche minuto e il prosecco si schiude, regalando a naso e palato profumi di melone giallo e margheritine di campo, con sottofondo di pietra focaia e sfumatura di mandarino. 
L’approccio carbonico non invasivo dona una eccezionale bevibilità, invitando alla beva senza mai stancare. Il finale ammandorlato fa risalire una calda nota vinosa, di vino “sfuso” del contadino, il che dona un tocco poetico e ancestrale a questo prosecco e mi riporta alla mente le parole di Paolo Massobrio “…che il grande vino italiano sarà sempre contadino, più figlio della sua terra e dei suoi saperi che di una esasperata tecnologia”.


Menzione speciale per l’etichetta, in puro stile Le Chat Noir parigino. Azzeccatissima, autoironica e originale. Voto 10.



E ora vogliate scusarmi, ma devo andare in cantina. Stasera aprirò una bella bottiglia di prosecco…