L’Anteprima del Chiaretto, giunta all’undicesima edizione e tenutasi a Lazise in un contesto ricco di bellezza, fornisce l’occasione per una riflessione preliminare in tema vini rosé. Il mercato nazionale sembra snobbare questa tipologia di prodotto e in questi due giorni a Lazise mi sono domandato il perché con una certa insistenza. L’ho anche chiesto in giro ai giornalisti e ai comunicatori, agli addetti ai lavori che – come me – hanno vissuto l’Anteprima.

Apparentemente si tratta di un tema complesso, senza una sola risposta. Si potrebbe ipotizzare una sorta di crisi di identità, figlia della versatilità intrinseca dei rosé, che non permette la giusta collocazione dei vini,
a volte troppo impegnati a cercare di imitare il modello di riferimento – la Provenza – senza tuttavia possederne le qualità, specie al consumo nel medio e lungo periodo. 
Oppure si potrebbe trattare di un fatto culturale, legato alla associazione del vino rosa al gusto femminile, cosa che esclude di primo acchito i consumatori di sesso maschile.

Eppure il vino rosé non ha nulla che non va, anzi. Pensate per esempio alla duttilità che può offrire nel campo degli abbinamenti, in grado di coprire un’ampia gamma  di piatti e circostanze, dall’aperitivo easy al secondo di carne bianca. Il vino rosa è un vino come tutti gli altri, un concetto che verrà ripreso spesso nel corso dell’Anteprima. Quindi? Cosa non funziona? I produttori non fanno sistema? No, al contrario: le denominazioni in rosa sono molte e appena un anno fa cinque tra i più importanti consorzi hanno stretto un patto strategico per la promozione dei propri vini rosé.

Alcuni numeri e un bagliore all’orizzonte

Il consumo interno di vini rosato si assesta intorno al 5%, ed è – seppur di poco – in aumento, specie tra i bevitori più giovani che vedono nei rosé un’occasione non troppo sofisticata di avvicinamento al vino. Siamo ben lontani dal 36% della Francia e persino dal 10% della media mondiale. I nostri cugini d’Oltralpe, in particolare, consumano più vino rosato di quanto ne producano (28% dell’intera produzione mondiale), segno incontrovertibile che il consumo di questo prodotto appartiene al consumatore francese, aldilà degli interessi nazionalistici.

All’orizzonte pare vedere tuttavia segnali di cambiamento, almeno da parte della stampa specializzata. Per la prima volta il Gambero Rosso, per esempio, ha dedicato un premio della sua guida 2019 al vino rosé dell’anno, per inciso assegnato al Molmenti 2015 di Vezzola.

La verticale di Molmenti

E a proposito di Molmenti, una delle occasioni più istruttive all’Anteprima è stata la verticale dal 2011 al 2015, esclusa la 2014, tenuta da Mattia Vezzola in persona. Vezzola ha uno stile asciutto nel raccontare le cose e non va molto per il sottile quando si tratta di bacchettare coloro che sottovalutano le potenzialità dei vini rosé. “I rosati sono grandi vini, purché siano ottenuti da vendemmie il cui obbiettivo è dì produrre vini, non bevande. ”. Le due parole d’ordine per Vezzola sono vocazionalità e selezione: due voci presenti nel DNA delle due DOC protagoniste.

Il banco di degustazione

Sessanta produttori gardesani per oltre centoventi vini in degustazione. Avendo partecipato anche l’anno scorso mi sbilancio un po’: annata 2018 migliore della 2017. Prosegue l’intento di produrre vini dal colore rosa alleggerito, più agrumato e floreale ma non per questo necessariamente meno impegnativi.


Il Baldovino2018 di Tenuta La Presa, per esempio, si differenzia nettamente per essere un vino da sottrazione più che da addizione. E ci piace, per questo: il colore è difficile collocazione nella scala dei rosati, assomiglia a un pinot grigio. Il naso è mediterraneo e scandisce con precisione note di pompelmo e tocchi erbacei. Preciso anche al palato, ha un finale perfettamente corrispondente.
Al banco ho provato anche il 2016, di straordinaria intensità. 


Cambiamo genere e con il Chiar’otto di Villa Calicantus. Formalmente non è un Bardolino Chiaretto, ma “solo” vino rosato. Poco importa: la bottiglia numerata 830/6115 restituisce un prodotto intenso, decisamente tenace, ma con grazia. Le note aromatiche vertono su prugna e fico. In bocca sviluppa una trama dinamica e inconsueta. Da provare.  


Infine uno dei nomi più gettonati, quello di Giovanna Tantini, i cui vigneti insistono sulle colline moreniche del versante veronese del lago di Garda, a Castelnuovo del Garda e Sona. Al banco è possibile provare oltre al 2018, ricco ancorché non completamente pronto, alcune annate precedenti. Impattante il 2012, testimone delle potenzialità di questi vini: al rosa brillante si accompagna un bouquet dicotomico, tra frutta matura e sbuffi di terziario, smalti e trame iodate. Il sorso non è da meno e provandolo con la calma che merita, fa sorgere la domanda: perché si beve poco rosé, in Italia?