La figura del sommelier moderno è centrale nella comunicazione del vino, non diciamo nulla di nuovo. E così, dopo Hosam Eldin Abou Eleyoun, delegato AIS Milano, abbiamo pensato bene di intervistare una illustre esponente della sommellerie milanese, Lorena Lancia, fresca vincitrice del titolo di miglior sommelier italiano FISAR.
Ci aspettavamo una saccente del vino, un’accademica del tastevin: niente di tutto ciò. Lorena è entrata a far parte dell’enomondo da poco e a parte questo non ha l’aria della predestinata. Semplicemente riesce bene in tutto ciò che fa perché ci mette passione. Curiosa e riflessiva, dimostra idee chiare, ambizione, conoscenza della materia. Sa cosa ci vuole adesso e cosa servirà in futuro per comunicare il vino. Senz’altro merita di far parte delle nostre #personedivino.

Allora cominciamo: chi è Lorena nella vita di tutti i giorni?

Semplicemente una quarantenne, sono assistente di volo, sono molto curiosa uno ne faccio cento ne penso, non mi fermo mai ma ho bisogno di momenti di riflessione per metabolizzare quello che mi succede. Il vino è un aspetto che soddisfa la mia curiosità.
Cos’è il vino per te, come ti sei avvicinata all’enomondo?
Fino ai 25 anni ero quasi astemia, anche lì per pura curiosità: in famiglia circolano i vini da cantina sociale. Girando ho iniziato a scoprire qualcos’altro, che dentro al calice ci può essere altro, così ho deciso di fare il corso per diventare sommelier, mi è piaciuta l’idea di capire cosa c’è alle spalle di un calice aldilà delle sensazioni organolettiche, spesso non viene apprezzato. Una cosa che mi affascina tanto e che noi in Italia abbiamo una varietà pazzesca, anche il fatto di poter legare un prodotto con il vino alla storia, alla letteratura, alla cultura, il nostro elemento caratterizzante.
Una domanda che ti avranno fatto decine di volte negli ultimi giorni: come si diventa miglior sommelier? Come è stato il concorso e con quale spirito ti sei presentata dopo il secondo posto ? Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano?
Quando ho fatto il concorso a giugno non ci tenevo granché ma avevo promesso a Gianni Longoni che lo avrei fatto, ho studiato ma confesso di non aver passato le notti sveglia sui libri. A quel concorso ho scoperto che la cosa era interessante! E così ho rispolverato i libri, ma non basta: più leggi più conosci, è fondamentale arricchire la preparazione base.
Raccontaci una tua esperienza divertente legata al mondo del vino.
Me ne viene in mente una tragica, a Bottiglie Aperte tenevo una master class di Veuve Cliquot, forse la bottiglia era calda ma… mi è scappato il tappo con tutta la gabbietta! Un imbarazzo…

Il mondo associativo dei sommelier è parecchio frazionato: tante associazioni, tutte con lo stesso obiettivo. Perché secondo te? In che cosa si differenzia Fisar?

Ce ne sono tante… perché no?! Fa piacere sentire le differenze tra una scuola e l’altra e come affrontano i temi. Il confronto è necessario, per non incaponirsi sempre con le stesse idee. A tutti piace il vino e a tutti piace comunicarlo: sta a noi cogliere le differenze. Nell’approccio Fisar vedo tra l’altro la convivialità sulla quale si costruisce la formazione, non sono accademici, l’associazione è forse più democratica e popolare, chiunque può proporre un’idea e portarla avanti. Non bisogna dimenticare che il diploma di sommelier non porta a nulla se non si applica con spirito e giudizio ciò che si è imparato.
C’è un vino che ti ha cambiato? uno che ti ha regalato un’altra visione?

Mi ha colpito moltissimo una degustazione di Gardini dei Barolo di Giuseppe Mascarello.
Un grande comunicatore moderno, Luca Gardini, sostiene che la figura del sommelier, ingessata e formale, non è più di moda e propone un nuovo modello che lui stesso ama definire “pop”. Cosa ne pensi?
Se devi comunicare devi arrivare. Dipende dai contesti, il sommelier formale ci vuole, a volte. Perché no?! Se vuoi far arrivare il messaggio bisogna talvolta liberarsi del gesso, immedesimarsi con il pubblico, valutare le persone alle quali ci si rivolge, stabilire un contatto.
La ricerca del cosiddetto gusto internazionale è ancora un male dei nostri giorni? O è un pericolo del passato?
È sempre dietro l’angolo! Io credo che chi ha la possibilità di fare qualcosa deve farlo, non può inseguire l’omologazione, mi rendo conto che il vino va venduto e per questo non bisogna dimenticare quella fetta di mercato che preferisce vini più omologati. Noi in Italia abbiamo la possibilità di fare vini unici, è un punto di forza incredibile. Non possiamo però dimenticare le nostre origini, il nostro DNA.
Vini naturali: qual è la tua posizione?
Non pensiamo di vivere in un mondo incontaminato, come se fosse di mille anni fa: apprezzo coloro che lavorano in biologico, è giusto regolamentare anche per il prodotto e per i consumatori. Biologico o biodinamico o vegano sono solo etichette che aiutano a vendere, vanno incontro a categorie di consumatori che ricercano un determinato prodotto. Mi vien da pensare ai vini di Gravner, non vale la pena di escludere qualcosa, io non escludo nulla, mai sottovalutare nulla a priori.

Noi siamo dei forti sostenitori della comunicazione del vino “emozionale” più che tecnica. Nei tuoi interventi in degustazione c’è più tecnica o più soggettività?
Un vino può non colpire, può farlo meno di un altro, devi solo trovare la voce per esprimere il vino, come la poesia. Anche con le parole bisogna fare attenzione. La percezione emotiva ci deve essere, non può non esserci. Quando penso al vino mi è inevitabile pensare alle persone, come nel vino ci sono quelle che si nascondono, che si aprono poco alla volta, che non tornano indietro sulle proprie idee, che fanno un passo alla volta ma lo fanno deciso, quelle che sono sulla tua stessa lunghezza d’onda. I vini bisogna prenderli così come sono, come con le persone.
Qual è la zona vitivinicola dove ti trasferiresti domani?
Le Langhe! Il Piemonte mi piace moltissimo, mi sembra molto vera, tanto ordine, molta cura, c’è un mondo contadino nel quale molte persone si rimboccano le maniche, qualcosa di veramente bello.
Hai in mente un abbinamento cibo/vino che hai proposto e che ha sorpreso tutti?
Come dico sempre a me piace scoprire, curiosare. Per farlo è necessario a volte essere privi di lacci didattici. Se torno a casa dopo una settimana in giro per il mondo e ho voglia di un bel minestrone caldo ma al tempo stesso di un amarone, chi mi impedisce di soddisfare i miei desideri? Non si abbinano? Pazienza, vorrà dire che prima mangerò il minestrone, poi berrò l’amarone, da meditazione.
Una domanda classica: quali sono i tre vini che porteresti sulla luna?
Vermentino di Gallura, un pinot nero di Borgogna, un Porto da meditazione.