Questa ve la devo raccontare.
Parliamo di grandi nomi… quelli che senti sussurrare alle serate “importanti” come termine di paragone, ma sottovoce per non scatenare lo sconcerto dei presenti o dare adito a fiammate e pistolotti di tizio o caio…
Siamo in sei e abbiamo un sacco di denaro da spendere (ma la mia compagna lo ignora per fortuna!) per una serata speciale. Tanto da mangiare ma soprattutto tantissimo da degustare.
Solo gli amici stretti per il primo “Tasting France d’été” di Appunti di Degustazione… e solo per sommelier incalliti.
A parte il sottoscritto, è chiaro… 
Una lineup  imperiale che vede avvicendarsi sulla tavola quattro grandi dell’Olimpo vinicolo.

Champagne Jerome Prévost La Closerie Fac-Simile Extra Brut Rosé
Champagne Jacques Selosse Initial Grand Cru Blanc de Blancs
Chablis Domaine Raveneau Butteaux 2011 Premier Cru
Georges Vernay Coteau de Vernon Condrieu 2006

Per me è la prima volta, mi sento felice come un cane con due code quando vede il suo padrone dopo sei mesi.
Da domani cambierà tutto.

L’inizio manco a dirlo è spumeggiante. 
Partiamo con un breve incipit su Prévost, notoriamente allievo di Anselme Selosse, e di quando negli anni ’80 vendeva solo uve e mosto dei suoi due ettari di vigne a nord delle Montagne de Reims, a terzi. 
Poi una bottiglia che tenne per sé capitò proprio nelle mani di Selosse e da qui nacque la leggenda di questo primo Champagne da Pinot Meunier.

La Closerie Fac-Simile
Perlage schiumoso e colore fantastico su toni di salmone carico; altro che buccia di cipolla di Tropea!
Il naso è intenso su ribes e piccoli frutti di bosco selvatici, pompelmo rosa su background ossidato e caramello. Complesso, caratteristico e invitante. 
L’assaggio è però controverso. Abbiamo discusso a lungo sul target di questo vino che sembra voler stare nel mezzo; un po’ vino e un po’ champagne
Qualcuno dice ottimo, tagliente e diretto, qualcun altro invece corto e amaricante sul finale. 
Personalmente lo trovo altalenante con decisi spunti ma altrettante debolezze. Nel complesso non un vino eccezionale in relazione al prezzo (poco sotto i cento euro). 
Da bere a solo date le sue caratteristiche gustative peculiari o su pietanze di un certo spessore come la mezza teglia di sfincione palermitano che ci siamo pappati in abbinamento.
Proseguiamo avidamente verso l’Initial di Selosse; il base della casa… e qui siamo sopra i cento euro a bottiglia, pour parler.
Da uve chardonnay 100% coltivate nei tre (Gran) Cru di Oger, Avize e Cramant la mano anche qui è di chiarissima impronta, passatemi il termine, biodinamica (filo conduttore della serata). 
Bellissimo il colore giallo dorato accecante (effervescenza quasi assente), sprigiona col passare dei minuti una varietà di profumi imbarazzante. Mela gialla, miele, frutta matura, forte e distintiva nota di distillato che ci accompagnerà fino alla fine, poi ancora nocciole, zucchero filato, nota erbacea… (c’è pure mio nonno in carriola).
In bocca una grandissima sapidità e un’altrettanto brillante acidità sfrecciano veloci su un ipotetico rettilineo di una pista automobilistica quasi a emulare le folli corse di Schumacher e Hakkinen dei bei tempi. 
Stiamo lì ad annusare come cani da fiuto ed esce fuori ancora gelsomino, rosmarino, lievito da pane in pasta. 
Abbinabilità strepitosa… in pratica va su tutto
Un vino che si mostra nuovo e diverso ad ogni sorso ma, se anche potete permettervelo, fatemi un piacere… non bevetelo tutti i giorni! Riservatevi la sua poesia per esaltare solo i momenti speciali.
Imbarazzante e infinito, più ammaliante di un branco sirene ad un rave party di Argonauti.
Bottiglia, a me!
Butteaux.
Una complessità erbacea notevole che vira dalla foglia di pomodoro al peperone al finocchietto a varie erbe aromatiche (prendetene tre a caso). Mineralissimo fino al midollo si ha la sensazione di aver a che fare con una spremuta di roccia o se preferite, di masticare un gessetto (chi di noi non ha mai gustato un gessetto da piccolo?!).
E non è finita…  melone bianco e una gradevole sensazione tenuemente amaricante di miele di castagno completano un naso di prim’ordine. 
Bocca su finocchetto selvatico, quello che trovi nella salsiccia siciliana insomma, fiori e altro… troppa roba. Acido da manuale e sapido da fare invidia al mare, ha spalle robuste che donano rotondità in un disequilibrio che si ricompone come in un puzzle di mille pezzi. 
Più lungo di una riunione pallosa di condominio, lascia una delicata e avvolgente sensazione floreale e dolcina caramellata. 
Strepitoso come la canzone di Tom Waits Kentucky Avenue che stiamo ascoltando in sottofondo.
Vale ogni centesimo dei suoi “economici” 73 euro.
Soddisfatti? Quasi. Manca ancora il Condrieu
Colore dorato intenso dai toni accesi.
Naso intrigante e molto complesso e su decisi spunti terziari. Fungo, muschio, miele millefiori e albicocca all’inizio per poi virare su note smaltate. Si potrebbe parlare a lungo citando frutta sotto spirito, whisky, scorza di limone, pompelmo, eccetera. Poi c’è una nota ossidata che fa strano…
Bocca in linea che sprigiona aromi terziari di whisky caramellati e di sottobosco. Equilibratissimo nell’acidità che bilancia dolcezze, anche sul finale, quando tende all’amaricante. Difficile l’abbinamento… questo viogner è un macigno, la bevibilità risente della robustezza e in più questo suo sapore dolcino disorienta non poco.
Controversa pure la questione della maturità. 
Magari qualche anno fa sarebbe stato diverso; oggi lo trovo troppo grasso e ciccione per qualsiasi abbinamento. Lo berrei senza alcun accompagnamento, magari per meditare durante una sessione di yoga?
No… molto meglio un PX!