Non parlavamo di Valtellina da diverso tempo, precisamente da questo post e questo, pubblicati lo scorso novembre. Per rinfrescarci la memoria abbiamo mandato sul posto il nostro agente speciale Matteo Capellaro, che ci ha inviato le sue impressioni su aziende tra le più rappresentative.
“Non posso liquidare in due parole cosa significa per me questa zona.
Da buon sommelier dovrei limitarmi a essere un descrittore, ma da grande amante del nebbiolo non posso esimermi dall’affermare che il chiavennasca in questa zona è l’espressione più estrema e forse più pura di questo vitigno. E vi spiegherò perché.

Le rese sono basse, non si può fare altrimenti; le vigne sono poste a ritocchino su terrazzi ripidissimi realizzati a secco, raggiungibili solo a piedi per cui quando si dice “realizzato a mano” in Valtellina ha un significato letterale.
Piante molto vecchie producono uva che sa di quella poca terra in cui le radici sprofondano assorbendo l’energia e la mineralità delle rocce che pavimentano i terrazzi. Questa particolarità, insieme alle basse rese e alla provenienza a volte da vigne in età avanzata, ha come conseguenza un ventaglio di profumi al naso tra i più variegati: ne troviamo di speziati, erbacei, artificiali, animali, minerali.

I trattamenti necessari non possono essere realizzati in serie utilizzando il trattore perché in mezzo ai filari si passa soltanto a piedi oppure utilizzando delle moto-carriole che facilitano di poco, insieme ad alcune teleferiche, la lavorazione in vigna.

Io non parlerei di singoli produttori ma di popolo di Valtellina, che conosce il territorio in modo viscerale; girando per cantine spesso ti raccontano questa verità dura, di fatica, di un lavoro di anni che può essere spazzato via da una grandinata violenta come accaduto nel 2008. Ho visitato quasi tutte le aziende, non esiste il produttore più bravo o il vino migliore, ma modi diversi di vinificare ed è davvero istruttivo poter assaggiare le diverse interpretazioni di questo vino. 

Mamete Prevostini propone da settanta anni diverse tipologie di Sforzati oltre ai classici Cru e igt localizzate nella zona più occidentale; i Dirupi rappresentano invece una realtà più recente: fondata da due amici enologi giovani ma di grande esperienza che sanno dare equilibrio ai loro vini dosando quantitativi di uva di altezze diverse. Vini che profumano di grande passione.
Nicola Nobili è enotecnico che ha fatto di un monastero sulla cima di Poggiridenti la sede della sua azienda e fa degustare le sue tre etichette di Inferno, Sassella e Sforzato sotto volte del 1400. Davvero molto suggestivo.
Nera merita davvero una visita in quanto offre la possibilità di assaggiare tipologie di vinificazioni differenti su Sassella, Inferno e Valgella con la linea Caven più moderna e con quella classica che prende il nome dall’azienda tipicamente più seguace della tradizione. 
Fay regala un’ottima interpretazione di Sassella e Valgella con vini fatti ad arte. 
Che dire di Aldo Rainoldi con il suo Grumello del 2009 perfettamente equilibrato senza sbavature, il suo metodo classico di Nebbiolo e il Prugnolo ottenuto assemblando le tre sottozone?

Per ultimo ma non per merito Ar.Pe.Pe. L’acronimo che sta per Arturo Pelizzatti Perego dà il nome a questa azienda che fino al 1973 era la più grande della Valle e che adesso è guidata dalla quinta generazione, dai fratelli Isabella, Emanuele e Guido.
Tredici ettari per lo più concentrati in Sassella, una piccola parte in Inferno e Grumello. Ma è in Sassella che si concentra la loro abilità e anche le loro vigne più antiche. In cantina botti di castagno: qui si sente il profumo della tradizione pura. Ma soprattutto le particolarità di Arpepe sono oltre a rese mediamente di 55 quintali per ettaro, gli affinamenti lunghi in bottiglia prima della commercializzazione: i vini vengono messi in vendita quando sono davvero pronti per essere apprezzati, quindi, fatta eccezione per il rosso e per la vendemmia tardiva, si parla solo di riserve. Piccole riserve con alle spalle un anno e mezzo di affinamento vengono imbottigliate utilizzando le bordolesi, le borgognotte invece vengono dedicate alle grandi riserve con alle spalle almeno tre anni abbondanti di permanenza in bottiglia. Forme diverse distinguono annate più o meno longeve.

Di seguito le mie impressioni al solito scritte di getto, in base alle mie emozioni dei vini assaggiati. Non aspettatevi dei tecnicismi, non mi appartengono:
Rosso di Valtellina 2012: sei giorni macerazione in legno, dodici mesi in tino grande, e adesso ha sei mesi di bottiglia, pronto da bere, bella freschezza, fruttato, ma con note di anice stellato, resina di pino, rosmarino, tiglio, bella mineralità, chiusura tannica, molto equilibrato.
Sassella Stella Retica 2010 riserva:  dieci giorni di macerazione in legno, due anni di botte grande un anno e mezzo di bottiglia; anice stellato, grandi spezie liquirizia. Persistenza gusto olfattiva intensa, classico Sassella fresco, di struttura. Piccola riserva.
Sassella Rocce Rosse 2002 riserva: grande riserva. Al naso buccia di salame, carne rossa, cipria, pepe, complesso; annata strepitosa a differenza delle Langhe, anche se con un’estate molto fresca, azzarderei abbinamenti territoriali come la bresaola. Fresco, sapido minerale, 35 giorni di macerazione nel cemento, quattro anni di botte grande di castagno e quattro anni e mezzo di affinamento in bottiglia. Vigna con terreno molto ferroso. 
Sassella Ultimi Raggi 2006: sentori di legno nuovo, vendemmia tardiva dalla vigna più alta, dodici giorni di macerazione, tre anni di affinamento di tino e tre anni di bottiglia. Tannino più astringente. Vino pronto che può regalare emozioni ancora per molto tempo.”