I redattori di questo blog non sono mai riusciti a nascondere – né intendevano farlo – la propensione ad apprezzare i vini campani, specialmente quelli bianchi. Scorrendo tra le pagine delle degustazioni e degli eventi, si può già intraprendere un piccolo viaggio in quella che io ritengo la regione italiana con le potenzialità più importanti ancora, tra l’altro, parzialmente inespresse.
In occasione di Vinnatur dell’anno scorso in un post parlammo, tra gli altri, di Podere Veneri Vecchio, una piccola realtà di Castelvenere; oggi torniamo ad occuparcene, provando Bianco Tempo 2011, prima annata in commercio per questo vino.

Mi sembra doveroso, preliminarmente, fare un breve accenno alla storia di Castelvenere, piccolo Comune nel Sannio, noto per essere proporzionalmente il più vitato di tutta la Campania. La sua estensione insiste su un territorio di chiara origine vulcanica e deve il proprio nome, in origine Véneri, probabilmente al fatto che nelle vicinanze vi era un tempio dedicato a Venere; non si trova a grande altitudine, poco più di cento metri sul livello del mare eppure i risultati qualitativi, da un punto di vista enologico, sono sempre importanti.
Una spiegazione di questa vocazione alla viticoltura la si può trovare nella composizione del terreno, ricca di argilla e tufo; sin dall’antichità, inoltre, le stesse case del paese sono state erette con pietra e tufo, o scavate nel tufo stesso, con cantine profonde e particolarmente fresche.
Castelvenere è, in sintesi, uno di quei luoghi in cui la tradizione vitivinicola la si può respirare, toccare e naturalmente… bere.  
Podere Veneri Vecchio nasce per volontà di Raffaello Annichiarico, agronomo esperto di sicurezza degli alimenti. Raffaello ha una storia che in un primo momento può sembrare inconsueta ma che a ben guardare ha diversi punti in comune con molti personaggi del mondo del vino: non nasce produttore ma scopre di poterlo diventare, acquisendo una piccola masseria proprio a Castelvenere, circondata da vigneti misti.
Dapprima vende le uve, in seguito decide di vinificare per proprio conto seguendo l’unica strada possibile: il rispetto del territorio, il rispetto della tradizione: chimica bandita e sforzi tesi soprattutto a rinforzare le naturali difese della pianta. Raffaello non ha modificato nemmeno gli impianti originali, allorquando rinvenne più varietà nel medesimo vigneto: ciascuna bottiglia prodotta è un cru, proveniente dallo stesso vigneto ma non monovitigno.    
Fermentazioni con lieviti indigeni, temperature non controllate, produzioni limitate caratterizzano i vini di Podere Veneri Vecchio ma… non basta. Abbiamo poc’anzi detto che si è avuto rispetto per la tradizione e come si potrebbe rispettarla di più se non vinificando vitigni squisitamente autoctoni: Bianco Tempo è un blend di grieco e cerreto in parti uguali completati da un 15% di falanghina; fa una macerazione di sette o otto giorni sulle bucce per poi maturare in botti di acacia e castagno, legni anch’essi tradizionalmente legati alla realtà locale.     
Facciamo parlare il calice: Bianco Tempo si presenta subito in tutta la sua originalità, mostrando numerose – e comprensibili – particelle in sospensione. Giallo oro antico, naso intenso di agrumi, fiori gialli appassiti e decisa nota tostata; non avverto una grande complessità tuttavia l’insieme del profilo olfattivo è fine e mi incuriosisce.
Il sorso rispetta quanto percepito al naso: si dispone in bocca non senza qualche spigolo, caratterizzato da intensa sapidità, valorizzata da una moderata freschezza. L’apporto alcolico è elegante, ben misurato, rende il vino molto piacevole, fino a un finale medio lungo.  
Non è un vino qualunque e non è un vino facile. Ha fascino proprio perché non si esprime apertamente, non subito almeno. 
L’essenza di Bianco Tempo d’altronde è ben illustrata in retro etichetta, dove sotto l’indicazione dell’utilizzo di botti di acacia e castagno viene riportato:
Questi non sono vini fatti per il mercato; se non accendono qualcosa dentro di te… lascia perdere, sono poche bottiglie.
Un monito, un consiglio forse, per rendere ben chiaro che alcune eccellenze non sono per tutti.