Sono sfinito ma entusiasta
Una manifestazione ben organizzata, vera nell’accezione più profonda del termine, sentita e variegata.
E’ la prima volta che partecipo al Vinnatur e già ne sento la mancanza!
La cornice è rappresentata dalla la splendida “location” di Villa da Porto Zordan detta la “Favorita” a Sarego (Vicenza) eretta all’inizio del diciottesimo secolo in posizione strategica su una collinetta che domina il paesaggio per chilometri.
I saloni principeschi sono grandi e spesso adornati con affreschi restaurati.
L’evento è distribuito su due piani  con ampie zone dedicate alla ristorazione.

Una bella salita, non c’è che dire!
Lasciamo la macchina nei pressi dell’ingresso, in un parcheggio adiacente una chiesetta. ci hanno comunicato la presenza di una navetta per coprire il tragitto fino all’ingresso distante circa 500 metri. Andiamo a piedi per sgranchire le gambe. La salita che porta all’ingresso mi ricorda film di altri tempi, dove si vedono enormi ville coloniche all’orizzonte di un lunghissimo viale alberato. Quasi un percorso di purificazione.
Dopo le brevi formalità all’ingresso siamo finalmente pronti per un tour esplorativo, giusto il tempo di farci un’idea.


Un banco ci incuriosisce più degli altri.
Siamo in Campania da Podere Veneri Vecchio (http://www.venerivecchio.com/) e proviamo subito il Tempo dopo Tempo bianco, da varietà autoctone Grieco (da non confondere con il greco di tufo) e Cerreto. Macerazione sulle bucce di 7/8 giorni, no filtrato, no stabilizzato. Vigna di 37 anni.
Giallo paglierino intenso di buona struttura, grande freschezza, avverto distintamente litchis e frutta sotto spirito. Raffaello, il proprietario ci spiega la tecnica di vinificazione; grazie ai batonnage morbidi effettuati durante il periodo di macerazione è possibile infatti estrarre le sostanze presenti nella buccia ma senza esagerare, evitando così di appiattire il gusto a causa di una macerazione troppo marcata.
Della serie “non tutti sanno che”… la Campania è un patrimonio di biodiversità per quanto riguarda la vitis vinifera. Esistono infatti centinaia di varietà autoctone che piano piano si stanno riscoprendo.
Dobbiamo fare un passo indietro e cercare una bollicina in particolare… quella di Selosse, Simon Selosse cugino del più famoso Jacques. Il Pas Dosè è molto buono ma un filo di indisponibilità da parte della donna dietro il bancone e la vicinanza con un’altra bolla d’oltralpe mi fanno presto dirigere verso quest’ultima.
Il salone d’ingresso
Provo il Millesimato, cuvèe standard di Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier che sosta 6 anni sui lieviti. Eccezionale! Sa di farina, piccola pasticceria, crema pasticcera. Grande struttura per una bollicina importante da tutto pasto. Ideale per chi lo Champagne lo gusta davvero.
E’ il momento di un grande. Maule. Angiolino, presidente e fondatore di Vinnatur è un pò l’anima di questa manifestazione ma oggi, al desk ci intratteniamo in una piacevole conversazione con il figlio Francesco che ci avvicina al suo mondo fatto di Trebbiano e Garganega.
Masieri 2012 in blend 80%-20%. A detta di Francesco un anno orribile causa siccità; secondo lui manca di sostanza e infatti per contrastare questa carenza generalizzati di enzimi e lieviti si è dovuto ricorrere a un leggero solfitaggio (circa 80gr/l) non presente, o minimo, nelle annate precedenti.
Simile sotto molti versi il Sassaia 2012 (95%-5%) ma, per usare il termine di Francesco, “con più ciccia”.
E’ il Pico 2011 il migliore dei tre (di gran lunga). Selezione di Garganega 100% è appena entrato in commercio e darà il meglio di sè dopo l’estate. Poco limpido, archetti disegnati, consistente. Gusto, struttura, naso… tutto ottimo. Si porta via per 12 euro in cantina.
Poco più in là scorgo Sebastiano De Bartoli che insieme ai fratelli porta avanti con slancio questa splendida realtà marsalese.
Ci spiega subito che il mercato da qualche anno a questa parte sta riscoprendo un passato ricco di sapori diversi da ciò a cui siamo abituati. De Bartoli ha pensato bene di proporre 2 linee di prodotti, moderno (tecnologie di uso comune in vinificazione) e integrale (macerazione sulle bucce vinificazione a temperatura non controllata, no solfitaggio durante tutte le fasi di lavorazione) ben distinte l’una dall’altra.
Parola d’ordine: comunicare il territorio con lo stesso prodotto interpretato in modo diametralmente opposto.

Iniziamo con il Catarratto 2012 di nuova produzione (moderno): bella aromaticità tipica del catarratto integrata con la spiccata mineralità. Immediato, da consumare subito quest’estate magari insieme a un piatto di cruditè di frutti di mare. Ineccepibile.

Zibibbo 2009 integrale: aromaticità intaccata dall’ossidazione, non filtrato, giallo leggermente ambrato (orange wine). Lo trovo troppo particolare, un prodotto che a qualcuno farà storcere il naso. Il vino del contadino. Non riesco a farmelo piacere fino in fondo… semplicemente perché lontano dalla mia aspettativa di prodotto fresco, magari più immediato, con sentori ben distinti come lo Zibibbo metodo convenzionale del quale invece sono ammaliato soprattutto per l’aromaticità e la suadenza dei profumi.
Vorrei parlare anche dell’uva grillo sulla quale ci siamo a lungo intrattenuti con Sebastiano, ma preferisco dedicare un post unico (a brevissimo) all’argomento date le peculiarità che rendono quest’uva declinabile in ogni forma: dallo spumante al vino liquoroso, il futuro dell’enologia in Sicilia.
Concludiamo la visita assaggiando il Pignatello 2011 che risulta ottimo. Componente erbacea, ciliegia sotto spirito, marasca, mineralità, corrispondenza gusto-olfattiva completa. Ancora da affinare (qualche spigolo c’è ancora) sarà un vinone in prospettiva

Da COS c’era troppa ressa e abbiamo avuto modo di provare soltanto il Pythos bianco 2011 da uve grecanico 100% vinificato in anfore di terracotta. Il produttore ci racconta che la peculiarità della terracotta è quella di far respirare il vino senza dare “il contributo” del legno. Il Pythos sosta quindi 9 mesi (!) sulle bucce al fine di avere un vino più longevo conservato naturalmente grazie alla produzione spontanea di anidride solforosa. Un vino estremo, difficile per quanto mi riguarda.
Chiudiamo la (giustamente) lunga parentesi siciliana con Frank Cornelissen iniziando dal MunJebel (Monte Etna in dialetto siculo) bianco da uve grecanico, carricante, catarratto e coda di volpe. 
“Ogni anno è diverso dall’altro dato che non c’è una formula per determinata”.
Vinificato come fosse un rosso con una lunga macerazione di 1-1,5 mesi in mastelli da 1000 litri a 14 gradi in modo da rallentare la fermentazione.
Potente, austero, fruttato al naso all’inizio ma poi indecifrabile. Particolare.
Passando ai rossi, a parte il Rosso del Contadino vinificato in uvaggio con tutte le varietà che il vigneto produce (dal nerello a scendere) il migliore assaggio è risultato il MunJebel rosso CS, cru di una determinata contrada da viti vecchissime di 60-80 anni di età a piede franco.” Lo curava un vecchietto” ci dice il produttore. Quadro olfattivo importante, balsamico, terroso dal tannino integrato e abbastanza elegante.