Con alcuni amici avevo deciso da tempo di passare qualche giorno a Tirano e dintorni. Ogni fine settimana Milano si svuota, si sgonfia come un palloncino bucato, liberando cittadini desiderosi di un po’ d’aria buona verso i numerosi luoghi di villeggiatura adiacenti. La provincia di Sondrio è uno di questi e a giudicare dal sostenuto traffico che ho dovuto respirare sia all’andata che al ritorno è facile ipotizzare che sia una delle mete preferite dai milanesi in fuga dalla città.
Nonostante Tirano disti da Milano poco più di centocinquanta chilometri non si raggiunge facilmente, non in automobile, almeno. Il percorso meriterebbe il servizio di arterie stradali in grado di sopportare meglio il grosso carico veicolare che settimanalmente si registra.  Dal centro città si sfiora Cinisello e poi via su per la Statale 36 del Lago di Como e dello Spluga, fino a Lecco; si risale il versante orientale del Lago di Como fino a Colico e poi a Piantedo si imbocca la Statale 38 dello Stelvio, che fa virare il viaggio da nord a est. Un tratto della Statale 36 – tra Colico e Bellano – attualmente è penalizzato dalla necessità di procedere a doppio senso in unica carreggiata per via di un crollo che ha interessato un lungo tratto stradale.

Forse la difficoltà di raggiungere questi luoghi contribuiscono ad incrementarne il fascino o forse no, non ce n’è bisogno, perché queste terre sono affascinanti già così. Non si può restare insensibili alla bellezza spesso incontaminata della Valle, caratterizzata – per noi che la guardiamo con occhi vinicolo – dai celebri terrazzamenti, sostenuti da migliaia di chilometri di muretti in pietra. La Valtellina non è un posto come un altro, no. E in Valtellina non si fanno vini qualunque, provare per credere.

Elena Fay ci accoglie sorridente e ci fa accomodare in una sobria ed elegante saletta all’interno del complesso aziendale, a San Giacomo di Teglio. Poche parole per introdurre la realtà aziendale, figlia della volontà e della passione di Sandro Fay, padre di Elena, che dal 1971 decide di ampliare l’azienda vinicola di famiglia e darle una diversa connotazione: Elena, infatti, ci spiega che il nonno produceva un solo Valgella a Carterìa e che buona parte finiva per essere distribuito dall’osteria di famiglia. Dal 1999 Marco ed Elena affiancano il padre nella conduzione dell’azienda, che oggi può contare su dodici ettari di terreno vitato in Valgella ed uno in Sassella. 


Ci siamo resi conto – esordisce Elena – che non è il caso di inseguire le sottozone del Valtellina Superiore e produrne a tutti i costi quanto più possibili. Fay nasce in Valgella ed è Valgella, soprattutto, che vogliamo produrre. Negli ultimi anni abbiamo girato le nostre vigne in altre zone ad altri produttori, che quasi non credevano ai loro occhi. Oltretutto il disciplinare che regola le sottozone non tiene in considerazione una cosa importantissima: l’altitudine. Ciascuna delle cinque sottozone può produrre vino da vigneti siti ad altitudine molto variabile, rischiando così di snaturare il reale obiettivo delle sottozone stesse, vale a dire caratterizzare il prodotto in modo inequivocabile”.


Ben detto! Vediamo cosa dicono i calici: proveremo cinque vini del 2010 e lo sforzato del 2009. Elena ci dice che l’annata 2010 è stata fredda e caratterizza i vini per acidità e mineralità; iniziamo con il Coste Basse 2010, proveniente dai vigneti più umidi, sotto i 450 metri sul livello del mare, dove gli acini hanno le bucce più sottili, dando quindi vini con meno colore e meno struttura. E’ un nebbiolo in purezza, si presenta limpido, rosso rubino luminoso, molto permeabile. Naso leggiadro e nitido di viole, ciliegie fresche ed anice; il sorso è fresco e nervoso, con tannino risolto e poco preponderante. Finale con persistenza medio lunga e ben sintonizzata sugli aromi percepiti in fase di esame olfattivo.

Proviamo Il glicine 2010, l’unico Sassella dei Valtellina Superiore prodotti dall’azienda. Affina per l’ottanta per cento in barrique nuove e la restante parte in legni usati; malolattica in botte. Rosso rubino intenso, colora il calice con facilità manifestando buona consistenza. Il naso è piuttosto “scuro”, con aromi rosa, lavanda, ferro, timo cui segue una leggera e piacevole speziatura, sbuffi di tabacco dolce. In bocca mi sorprende la notevole freschezza, ben combinata con mineralità di pregio e che dona al sorso notevole beva. Il tannino ancora un po’ spigoloso accompagna il sorso verso un finale medio lungo.

E’ il momento di Ca’ Morei 2010, il vino che porta il nome della casa di origine della madre di Sandro Fay: proviene da un vigneto a 550 metri, con terreno sabbioso e limoso. Anche qui il rubino è luminoso ed invitante, con riflessi granati ben in evidenza; l’esame olfattivo rivela sentori di frutta rossa matura, tabacco e liquirizia. Tannino perfettamente allineato, in un buon contesto fresco e sapido. Suadente finale ammandorlato.

Carterìa 2010 prende il nome dalla frazione di Teglio ove il vigneto è situato, anche qui a 550 metri sul livello del mare. Rosso rubino limpido appena permeabile, regala impatto olfattivo non particolarmente ampio ma di qualità, fatto di piccoli frutti rossi, spezie – pepe bianco in particolare – e polvere di caffè. In bocca la presenza del tannino è importante ma ben sostenuta da alcol piacevole  ed equilibrata sensazione pseudocalorica. Fresco e minerale, sorprende il finale lungo e armonico.

Sui blend di nebbiolo ho avuto sempre delle riserve, spesso giustificate: La Faya 2010, tuttavia, merita di essere provato. Proveniente dalla vigna Carterìa, il vitigno principe è qui assemblato con merlot e syrah: Elena ci spiega le genesi di questo prodotto, ideato per ottimizzare un tratto di terreno a ridosso del bosco in cui il nebbiolo non riusciva ad esprimersi perfettamente e dove quindi è stato impiantato il merlot. “Abbiamo aggiunto il syrah – continua Elena – pensando di poter ottenere ottimi risultati, considerando anche che i nostri vigneti si trovano alla stessa latitudine di quelli della Valle del Rodano“. Il colore è ancora rubino seppur più intenso e meno permeabile dei precedenti, naso introverso e “difficile”, in cui i sentori vegetali donano sferzate vivaci, in un contesto di frutta nera e spezie. Gusto morbido e fresco, si indovina facilmente l’apporto del legno, veicolato forse dai vitigni internazionali, visto che nei precedenti vini tale significativa speziatura vanigliata non era presente.

Chiude la degustazione lo Sforzato Ronco del Picchio 2009: le uve provengono dal vigneto San Gervasio, a settecento metri di altitudine. La vinificazione dello sforzato è la sintesi dell’ingegno umano, della tradizione e della tecnologia enologica: le uve destinate a questo vino, infatti, sono tra le prime ad essere raccolte, per garantire un tenore di acidità idoneo a sostenere l’alcol e la morbidezza tipici di un vino ottenuto da uve appassite.
L’appassimento, della durata di circa tre mesi, avviene in locali areati, ove le uve vengono poste sui graticci; questa fase, oltre a modificare strutturalmente l’acino (che perde fino al 40% di acqua) consente la formazione di nuove sostanze aromatiche, che vanno ad incrementare ulteriormente un bouquet già particolarmente ricco. Rosso granato permeabile ed invitante, naso complesso di confettura e spirito: viole appassite, ribes, prugne, cioccolato e spezie precedono un sorso caldo ed appagante, ancora lievemente astringente e di grande personalità. Persistenza lunga e in perfetta armonia. La degustazione “secca” penalizza questo tipo di vino che dà il meglio di sé in abbinamento a piatti strutturati di carne rossa o formaggi stagionati e si presta anche ad essere un ottimo vino da meditazione. 


La degustazione è terminata: la visita in Valtellina no.
Nei prossimi giorni pubblicheremo un altro post. Restate sintonizzati.