Tra le serate che definisco imperdibili nel folto calendario milanese c’è da qualche tempo senz’altro quella dedicata ai barolo ed ai barbaresco organizzata da Go Wine, tenutasi giovedì venti febbraio all’Hotel Michelangelo. Durante la serata l’associazione albese, attraverso il presidente Massimo Corrado, ha premiato tre personalità dell’area milanese che si sono distinte nel mondo vinicolo, in particolar modo per i vini di Langa: i tre premiati sono stati Luigi Cotti, dell’omonima storica enoteca (http://www.enotecacotti.it/), Cesare Pillon, giornalista di lungo corso e Alessandro Ridolfi, titolare dell’Enoteca dei Cento Barolo di Cologno Monzese (locale che tra l’altro conosco molto bene e che vi consiglio).

Una quarantina di produttori hanno alzato il sipario sul Barolo 2010 e Barbaresco 2011, prossimi all’uscita in commercio, ma non solo su questi. Vediamo come è andata.

Il primo vino della serata non è un rosso ma il bianco Nascetta 2013 (o Nas-cëtta, per rispettare la forma dialettale) di Le Strette, cantina storica di Novello, piccolo Comune a sud di Barolo. La cantina si può fregiare di appartenere al ristretto novero di coloro che hanno contribuito alla riscoperta della nascetta, vitigno che – circondato da tanti e tali uve a bacca rossa – stava sparendo dalle produzioni piemontesi. Bel giallo paglierino luminoso e vivace, presenta un impatto senza dubbio aromatico, basato su fiori bianchi e gialli, note di agrumi ed erbacee, una buona sapidità in bocca su un corpo agile e tutto sommato di corpo. Un bianco diverso, da provare.
Il primo rosso della serata è il Barolo Bergeisa 2010, un piccolo cru che presenta caratteristiche che rendono il vino morbido già da subito: in effetti si presenta fine ed elegante, senza tuttavia nascondere l’esuberanza che un prodotto di questi tipo deve avere.
Subito dopo proviamo il Barolo Bergera Pezzole 2010, che si presenta con un bouquet raffinato, intenso, complesso, imperniato su frutta rossa matura, viole, erbaceo soprattutto. Il gusto è ampiamente energico, di gran corpo e con tannini giustamente sugli scudi. Darà il meglio di sé prevedibilmente tra quattro o cinque anni. Da tenere in cantina.

Moccagatta è una azienda che non conoscevo e Patrick, che mi ha accompagnato con pazienza in questa serata, me la segnala: la famiglia Minuto coltiva uve dal 1800 e produce in proprio già dal 1913. Oggi i Minuto gestiscono dodici ettari vitati, a maggioranza nebbiolo; il primo vino è il Barbaresco Bric Balin 2011: rubino intenso e vivace, trama olfattiva fondata su rosa, mirtillo, pepe bianco, leggera tostatura. Il gusto mi sorprende per assenza di evidenti spigolosità, che pur sarebbero comprensibili in un barbaresco giovane: acidità ed astringenza, pur decise, sono ben mitigate da un apporto alcolico ben calibrato, come l’uso del legno sembra perfettamente controllato. Finale lungo e piacevole. Sorprendente. 
Il Barbaresco Bric Balin 2009 vira con maggiore intensità olfattiva su note di frutta matura ed il sorso è esuberante, in via di completa centratura il tannino. Anche qui la persistenza è molto vicina ai dieci secondi ed è soprattutto la gradevolezza d’insieme che lo contraddistingue.
Infine il Barbaresco Bric Balin 2006: ultimo nella progressione, mi aspetto un vino educato dal tempo, mitigato dall’affinamento in bottiglia, ed così solo in parte. Il colore regala sfumature aranciate ma è sempre vivace, al naso c’è un sentiero di terziari ben caratterizzati da visciole sotto spirito, fiori appassiti, ribes e caffè, speziatura allineata ed invitante; in bocca manifesta in fretta i tratti della longevità, per nulla affievolito si dispone con energia, con il tannino ben centrato ed ancora estroverso, ben inserito in una notevole struttura; sembra un barbaresco con potenza da barolo e pure sempre con sfumature proprie da barbaresco. Da conservare e bere tra un paio d’anni almeno.
Qualche banco più in là ritroviamo il banchetto di nome noto, il cui vino non ci stanchiamo mai di provare; l’azienda Enzo Boglietti, gestita dallo stesso Enzo e dal fratello Gianni – presente alla serata – non ha una lunga tradizione familiare di produzione vinicola ma ha rapidamente scalato tutte le classifiche di gradimento, attraverso la filosofia del lavoro, l’unica che può dare risultati in questo mondo così complesso. I principi cardine sono rispetto dell’ambiente e controllo delle rese, finalizzati alla assoluta qualità delle uve: pensate che al momento dell’invaiatura (che segna l’inizio della maturazione dell’acino) si lascia un solo grappolo per tralcio.
Il Barolo Arione 2010 impressiona per eleganza dei profumi abbinata ad una evidente tostatura che accompagna anche il sorso; potente ed incisivo ha un grandissimo margine di ulteriore miglioramento davanti a sé.
A seguire Barolo Brunate 2010, dal colore invitante, strepitosa complessità olfattiva nonostante la giovane età, fondata su nitide note di ciliegie mature, violette, cioccolato e vaniglia; in bocca ha ottima corrispondenza gusto olfattiva ed appaga il palato, con un finale suadente e vigoroso. Grande oggi, sarà grandissimo domani.
Chiudiamo la degustazione con il Barolo Boiolo 2009, piccolo nuovo cru di La Morra: Gianni ci spiega che nessuno ancora imbottiglia con la menzione Boiolo, territorio più fresco, con terreni più ricchi di acqua e che danno vini più fini ed eleganti. In effetti qui il calice si presenta meno concentrato, dalla buona intensità olfattiva corroborata da sentori più imperniati sulle sfumature. In bocca non è ancora equilibrato ma in prospettiva sarà un barolo che strizzerà l’occhio a chi ama i vini sussurrati, ancorché dotati di intrinseca potenza. 
Dopo una piccola pausa è il turno dell’azienda Palladino di Serralunga d’Alba, produttori di vini in bottiglia dal 1974 in un contesto dove la storia dei vini di Langa si può respirare, toccare e – naturalmente – bere in ogni sorso.
Il primo vino è il Barolo Parafada 2009: naso intenso e profondo di viola, prugne mature e caffè precede un corpo solido e generoso, ricco e dai tannini vellutati. Apporto del legno distinguibile ma non penalizzante. Da assaporare con cacciagione in umido. A seguire proviamo il Barolo Serralunga 2009: al colore accattivante segue intensità olfattiva di gran pregio che snocciola in precisa successione sentori di amarene mature, more di gelso, pot-pourri, rametto di liquirizia, accenno tostato. Esplosivo anche al gusto, ove progredisce potente e caldo, lasciando presagire ancora un lungo futuro. Per chi vuol tenere in cantina bottiglie longeve.
Chiudiamo con il Barolo San Bernardo Riserva 2006, nel quale avverto già di primo acchito il contributo del legno, cui segue il frutto carnoso, croccante, tridimensionale e una lunga scia di spezie, terra bagnata, foglie secche e ancora liquirizia. Corrispondenza gusto olfattiva piena e compiacente, con il tannino complice amichevole di un gran bel finale. Chapeau
Ci resta ancora una azienda e puntiamo su Alberto Voerzio, giovane produttore a La Morra. Alberto è schietto come i suoi vini e nel poco tempo che passiamo con lui ci trasmette con convinzione la sua filosofia:, come scrive sul suo sito: Il vino si fa nel vigneto e senza un grande vigneto non si può fare un grande vino. Alberto punta a rese molto basse, circa trentacinque quintali per ettaro e questo dato mi sembra già ampiamente significativo; in più la fermentazione di tutti i vini dell’azienda è sempre spontanea ed essi non vengono mai filtrati, preferendo una più naturale decantazione.
Ci sono tutte le premesse per una degustazione speciale: il primo vino è un Langhe 2011, quello che potrebbe considerarsi un nebbiolo d’entrata o base. Ebbene l’ingresso è trionfale: rubino luminoso e vivace,  beverino eppure dotato di struttura, tannino elegante ed equilibrato. Patrick, accanto a me sussurra “Un barolo mancato…“. Ed ha proprio ragione.
Segue il Barolo La Serra 2009: colore e sfumature classici, naso franco di violetta, visciole mature, scatola di sigari, sorso energico ma non scevro di eleganza e centratura tannica, freschezza solo un po’ smorzata. Segnatevelo.
Infine il Barolo La Serra 2008: al naso di frutta rossa e nera sotto spirito, viola, tabacco, pepe segue espressione gustativa più calda del precedente ma anche più sapida, forse per via dell’annata più calda. Un grande classico per accompagnare della buona cacciagione.