Venerdì 10 maggio abbiamo partecipato, presso il ristorante Prato Gaio di Montecalvo Versiggia,  a un evento nell’ambito del progetto OltreLaStoria: un ambizioso percorso volto a riscoprire e diffondere la cultura enologica di qualità dell’Oltrepò, realtà spesso ingiustamente sottovalutata. Gabriele ed io siamo stati invitati da Roger Marchi, una delle anime del programma. 
Ci accoglie il patron del ristorante, Giorgio Liberti, che ci presenta subito agli altri ospiti: il ristorante è caldo ed elegante, e si coglie subito la percezione del locale dove si starà bene. I partecipanti all’evento sono circa una trentina, al nostro tavolo siedono Beppe, Giovanni, Danilo ed Anna. 
Giorgio rompe il ghiaccio presentando colui che introdurrà i vini e li commenterà, Francesco Beghi, curatore, tra l’altro, della guida Gambero Rosso. 
Francesco presenta la protagonista della serata, Conte Vistarino, una delle aziende storiche dell’Oltrepò: con i suoi 826 ettari, l’azienda copre quasi per intero il Comune di Rocca de’ Giorgi, incastonato tra Montalto Pavese, Canevino, Ruino e Montecalvo Versiggia, nella valle del torrente Scuropasso. 
La righe che seguono sono figlie di un giro breve ma intenso che Gabriele ed io abbiamo potuto fare il giorno dopo l’evento, il sabato mattina, in compagnia di Ottavia Giorgi di Vistarino, presente con i suoi vini al Prato Gaio (ebbene sì, a fine cena Gabriele ed io ci siamo spudoratamente auto-invitati per il giorno dopo). 


L’azienda Conte Vistarino possiede una vasta tenuta agricola di grande interesse paesaggistico, faunistico e storico; al termine del giro mi sono accorto di aver scritto sul taccuino parecchie cose, in questo post sarò costretto a fare – ahimé – una drastica sintesi. L’azienda è stata prima, e spesso anche unica, in tante cose: Carlo Vistarino, avo di Ottavia, per esempio, fu il primo a produrre uno spumante secco con metodo classico, con la collaborazione di Carlo Gancia; era il 1865, anno che oggi marchia uno dei prodotti di casa Vistarino. Lo spumante prodotto era molto apprezzato, non solo in Italia: l’azienda, in breve tempo, diventò una sorta di Maison de Champagne italiana, in un contesto che negli anni divenne celebre ed aristocratico. La tenuta si prestava perfettamente ad ospitare battute di caccia e molti monarchi europei vi passarono del tempo imbracciando la doppietta. Ancora oggi, la tenuta è una struttura ricettiva faunistico venatoria molto apprezzata dai cacciatori.

Vista della tenuta Vistarino dall’alto del vigneto Pernice

Le curiosità non finiscono qui: la vastità dell’azienda indusse i Vistarino a ricorrere alla mezzadria e successivamente alla colonìa, per la lavorazione delle terre. Ciascun colono riceveva in usufrutto una cascina ove vivere con la propria famiglia e la terra circostante, siglando contratti di lunga durata, alcuni dei quali in vigore anche oggi. La Proprietà ha gradualmente sostituito questo genere di contratto anacronistico, che mal coniuga gli interessi dell’agricoltore con quelli della vinificazione di qualità. Attualmente la tenuta dispone ancora di venticinque cascine, la maggior parte delle quali vengono affittate per brevi o lunghi periodi.  
Ottavia ci ha spiegato che è proprio per la vinificazione di qualità che l’azienda ha investito moltissimo nella tecnologia di cantina, potendo già contare su una zona fortemente vocata per la produzione di pinot nero. 
Oggi dei circa duecento ettari vitati, centoquaranta sono dedicati proprio al pinot nero, impianti ottenuti da barbatelle borgognone, allevate a guyot e con zero trattamenti in vigna. Nonostante i risultati eccellenti ottenuti con il vitigno principe, l’azienda non ha rinunciato alla biodiversità, impiantando anche chardonnay, pinot grigio, riesling, barbera e croatina. 

Al Prato Gaio proveremo quattro diverse annate di Pernice, il cru di Pinot nero di casa Vistarino. 
Iniziamo: Gabriele ed io siamo incuriositi ed affamati.
Lo stuzzichino di partenza è un salame di testa. Giorgio presenta il piatto sottolineando quanto questo prodotto non sia affatto unto. Il salame è accompagnato dal Pernice 2010: al calice si presenta di media consistenza, impatto leggermente vinoso, fiori freschi, in particolare violette, risulta senz’altro più floreale che fruttato. Fresco e sapido, ancora un po’ slegato. Tannino già fine eppure energico. Finale interlocutorio. Si intravede la stoffa ma, a nostro parere, è ancora immaturo: Ottavia spiega che non è ancora in commercio, qualche mese di bottiglia, infatti, e sarà pronto. L’abbinamento con il salame ci soddisfa: la freschezza del Pernice 2010 pulisce la bocca dalla tendenza dolce del salume, ed il fine tannino la asciuga, preparandola al boccone successivo. 

Poco dopo viene servito l’antipasto: animelle di vitello croccanti in salsa di funghi champignon. Le animelle sono di media grandezza, panatura perfetta, croccanti al punto giusto: sono accompagnate dal Pernice 2009. Giorgio ci spiega che per le animelle ci si è ispirati a una ricetta di Manuel Vázquez Montalbán, contenuta nel suo Ricette immorali. 

Ascoltiamo cosa ha da dire il calice. Rubino luminoso, disegna archetti regolari. Al naso presenta subito un tono boisé evidente e distinto; note di violette, ciliegie e frutti di bosco sostenuti da un ventaglio speziato di pepe e chiodi di garofano. Accenno balsamico. In bocca il tannino duetta con l’acidità, regalando un finale lungo. Francesco Beghi osserva acutamente che questo vino “deve ancora decidere cosa diventare da grande“, trovandosi nella fase di transizione da giovane a evoluto.  

Pinot Nero Oltrepò Pavese DOC Pernice 2009

E’ il turno degli Agnolotti
tradizionali di stufato al burro d’alpeggio e Granone Lodigiano stagionato 24
mesi.
Giorgio Liberti spiega le due
scuole di pensiero sugli agnolotti, specificando che mentre nella non lontana
Canneto Pavese si è soliti servirli nella variante “grande”, nota
come Bata Lavar, lui preferisce la versione più piccola, quasi dei plin. Ora,
non so come a Canneto Pavese fanno i loro agnolotti, ma questi – vi assicuro –
erano buonissimi: violando una delle mie poche regole enogastronomiche ho
persino chiesto, ed ottenuto, un bis. Gli agnolotti venivano accompagnati dal
Pernice 2006: naso distinto e fine, lieve impatto alcolico, ribes, note
animali, tabacco, polvere di caffè, in bocca armonico e persistente, tannino
elegante, integrato. Richiamo varietale permanente. Finale lungo. Un gran bel
sorso. Al tavolo, con Danilo, conveniamo: bel vino, forse ruffiano senza tuttavia
essere sdolcinato.  

Il secondo piatto è l’agnello del Passo Carmine al forno con patate al rosmarino: una pietanza che richiede esperienza nella preparazione e nella scelta della materia prima, se non si vuole correre il rischio di ritrovarsi con una portata dal gusto selvaggio al limite dello spiacevole. Non era questo il caso: delicato e cotto al punto giusto, bene accompagnato da patate veramente molto buone. L’agnello veniva servito in compagnia dall’ultimo della batteria dei Pernice, il 2003
Ottavia lo presenta come il primo vino, tra quelli prodotti, che sente “suo” al cento per cento. Rosso rubino vivo luminoso, non tradisce l’età, anzi. L’esame olfattivo ha incipit balsamico, esprime note di visciole sotto spirito, sferzate boisé, ritorno balsamico e ancora spiritato. Bocca elegante e vellutata, tannino e acidità ben presenti, integrati; a mio parere si nota l’impronta dell’anno particolarmente caldo. Ben riuscito l’abbinamento con l’agnello, un matrimonio perfetto tra piccole esuberanze ed importanti tratti di eleganza. 

La cena, dopo un sublime sorbetto, volge al termine. Prima di congedarci, Giorgio ci presenta Matteo Bertè, un giovane enologo dalle idee molto chiare e co-fondatore del progetto OltreLaStoria, insieme a Francesco Beghi, lo stesso Giorgio Liberti ed il già citato Roger Marchi. Sono occasioni importanti di confronto, per noi, e certamente opportunità di conoscenze professionali e soprattutto umane. Gli occhi di chi ama il proprio mestiere hanno una luce unica. E noi, venerdì, di occhi così ne abbiamo incrociati molti.

Un saluto a Sandro Torti e a Luca Desimoni, titolare del grazioso B&B dove abbiamo soggiornato.

Francesco Cannizzaro