Il mondo del vino ci regala spesso racconti che – se non descrivessero pura realtà – sembrerebbero il frutto della fantasia di scrittori visionari e romantici. La storia di Hideyuki Miyakawa, detto Hide, sembra tratta dalla penna di Alessandro Baricco. Nel 1960 Hide parte con un amico in motocicletta, una Yamaguchi 125 cc. bicilindrica. Destinazione: il mondo. I due amici attraversano l’India, il Pakistan, l’Iran  e raggiungono Roma. È l’anno delle Olimpiadi, i Giochi romani che vedranno l’angelo Livio Berruti vincere  la finale dei 200 metri, primo atleta europeo a spezzare l’egemonia degli sprinter nordamericani. Ma questo è un altro racconto.

Hide ha bisogno di finanziare il proprio viaggio e si propone al quotidiano Mainichi Shimbun come corrispondente estero. Il giornale accetta, segnando la rotta del giovane Miyakawa. Nel novembre dello stesso anno Hide si reca come inviato a Torino al Salone dell’Automobile: nei pressi di uno degli stand incontra la torinese Maria Luisa Bassano, detta Marisa,  studentessa presso il Centro di Cultura Orientale dell’ISMEO. Si dice che le forza del destino unita a quella dell’amore sia invincibile: Hide e Marisa si sposano nel 1962.

Si chiamava Hervé Joncour, era mercante di bachi da seta. Ogni anno raggiungeva il Giappone, ogni anno ritornava. Nei suoi viaggi, si leggeva l’ideogramma di una passione silenziosa, rubata al rumore del mondo.

Alessandro Baricco – Seta

Negli anni successivi Hideyuki si afferma come imprenditore, contribuendo a esportare il gusto del design automobilistico in Giappone. Diventa socio di Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani, fonda la Italstyling e collabora con la Suzuki nel campo delle corse motociclistiche. Nel 1983 Hide e Marisa acquisiscono con altre tre famiglie un podere di Suvereto: la Bulichella. Il proposito era quello di fare del podere un’azienda  biologica e agrituristica, vissuto dai componenti delle famiglie come un unico nucleo familiare allargato, nel rispetto della natura e regolato da stili di vita più lenti e genuini. Nel 1983 parlare di azienda biologica doveva essere come riferire a uno studente di prima media il teorema di Fermat: la Bulichella, non a caso, è considerata la prima azienda  biologica di tutta la Toscana. Il solco è tracciato e il vento è in poppa: nel 1999 la famiglia Miyakawa rileva le quote degli altri soci e diventa l’unica proprietaria, con l’obiettivo di intraprendere un percorso orientato alla produzione enologica di qualità. Percorso ribadito dal ritorno in azienda nel 2015 dell’enologo Luca D’Attoma che con Andrea Lupi firma i vini aziendali. Ma cos’è Bulichella? E come si producono i vini? Si trova a pochi chilometri  a est di Suvereto, in Val di Cornia nel distretto delle Colline Metallifere. La tenuta conta quattordici ettari vitati, dieci dedicati all’olivicoltura, un laghetto, un orto con frutteto e un piccolo bosco. Se a tutte queste caratteristiche aggiungiamo il terreno tendenzialmente argilloso,  la vicinanza al mare, una buona escursione termica e la ventilazione di cui gode l’area, possiamo affermare senza tema di smentita che ci sono tutti gli ingredienti per la viticoltura d’eccellenza.

Accompagnati da Shizuko Miyakawa, figlia di Hide e Marisa, abbiamo provato alcuni vini Bulichella: Gabriele ed io  – lo riconosciamo subito – non ci aspettavamo degli assaggi così marcati, personali e profondamente riconoscibili. Vini di manico, certo, ma uniti dal terroir, presi tutti per mano da note salmastre a tratti iodate: respiri marini più accentuati nel Sol Sera 2018, rosato da uve syrah, accompagnati da  una partitura nitida di piccoli frutti rossi, salvia, timo di montagna e pepe bianco. Il sorso è appagante, lungo e di notevole progressione.

Brezza marina meno marcata in Rubino 2017, il vino storico di Bulichella: blend di sangiovese, merlot e cabernet. Regala note di carruba e tratti erbacei, che fanno pendant col volto muscolare di questo vino, espressa da intensità succulenta di ciliegia e susina. Il sorso è estroverso, senz’altro ancora giovanile, il tannino è fitto e in corso di integrazione: il futuro sarà bellissimo.

Con il Coldipietrerosse 2015 alziamo l’asticella: il sangiovese lascia il posto al petit verdot, in un blend di chiara ispirazione bordolese. Sgombriamo il campo da equivoci concettuali: se la strada maestra è il Bordeaux – è innegabile – l’obiettivo che a nostro parere si vuol raggiungere è tuttavia un altro. Si possono fare vini con vitigni bordolesi senza tuttavia cercare di raggiungere a tutti i costi le peculiarità dei prodotti di Saint-Emilion o Pauillac ma, anzi, ponendo l’accento sui connotati propri del terroir di provenienza. Coldipietrerosse 2015 è questo, un bordolese di Suvereto: ricco di sfumature croccanti, dal ribes alla mora di rovo, impreziosite da sbuffi speziati, coadiuvati – e qui scatta l’applauso – da un uso ponderato del legno.

Ultimo assaggio per Hide 2015, syrah in purezza. Shizuko ci racconta che è un vino nato per scommessa ma lo sapete: molti successi iniziano così, per scommessa o per incoscienza. Dimostra subito, al primo naso di che pasta è fatto: spazia dai profumi di frutta rossa sotto spirito alla grafite, dall’anice al cacao in polvere, passando per il tabacco, la terra bagnata e – naturalmente – l’effluvio del mare. Dinamico al naso e dinamico in bocca: pochi sorsi non bastano per definirlo compiutamente. Manifesta tratti tipici varietali, uniti a quelli del territorio: vino comunicativo come pochi. Hideyuki Miyakawa forse è così, come il vino che porta il suo nome: ha molte cose da dire ma le dice poco per volta.

Forse la vita alle volte ti gira in un modo che non c’è proprio più niente da dire.

Alessandro Baricco – Seta