Varese, Como e la Brianza
Indecisa tra seguire l’ordine del libro o la montagna del Purgatorio dantesco, preferisco quest’ultima che mi consente di suddividere la Lombardia in cornici più divertenti. Non si offenda nessuno: gli abbinamenti sono un pretesto leggero per trattare argomenti seri e storia vera.

La splendida Rocca di Angera

Cominciamo dunque con Varese, Como e la Brianza.

Il Sacro Monte di Varese non è solo un conosciuto simbolo religioso ma rappresenta la storia viticola di questa zona. Le monache che lo gestivano infatti avevano il diritto di vendere pane e vino ai pellegrini, suscitando anche l’invidia degli abitanti che – sperando di ottenere almeno in parte lo stesso diritto – chiesero l’intervento di Federico Borromeo, il quale, come possiamo immaginare, si schierò dalla parte delle monache. 
Anche Saronno ebbe grande fortuna e le sue vigne sono citate in documenti tra il ‘700 e l’ ‘800.
Nomi noti e meno conosciuti nelle uve della zona: corvina, gattinara, volpera, passerina, ughetta, corbera, guernassa, rosa, cogna ma su tutte la schiava, base per il vino di Montevecchia.


Busto Arsizio addirittura si distinse per la produzione di cru, nel senso più restrittivo del termine, cioè vino prodotto da singolo vigneto.
Carlo Borromeo e Andrea Bacci decantano la qualità di questi vini ma sembra proprio che così non fosse. Alla base di questa scarsa qualità, stava una certa negligenza: “L’uva pigiata con i piedi, la fermentazione in vasi aperti e la svinatura anticipata non erano indizi che deponevano a favore dell’eccellenza di vini locali […] Questa poca attenzione alla vinificazione fu verosimilmente una delle ragioni alla base dell’abbandono della viticoltura.”
Parte della produzione di zona arrivava a Milano perché, durante la guerra in corso nella prima metà del 1600, barriere e dazi impedivano l’ingresso in città di prodotti piemontesi e bergamaschi ma con la fine delle ostilità, la concorrenza ebbe la meglio.
I due rami del Lago di Como

Così prese piede la più renumerativa coltura di gelso. Intorno alla fine del ‘700 la vocazione turistica, che spinse personaggi del calibro di Manzoni e Parini ad alloggiare sulla rive di questi laghi, traformò definitivamente le vigne in splendidi giardini.

Tuttavia va sicuramente ricordato Vincenzo Dandolo che, occupandosi di sviluppo agricolo, scrisse importanti opere sulla conservazione del vino, sviluppando concetti come condizioni climatiche, corretta coltivazione, giusta vendemmia per ottenere grado zuccherino adeguato, eventuale correzione con sciroppo di zucchero: nozioni a noi familiari ed elementari, avanzate per l’epoca.
Ma non tutto è perduto per fortuna: il consorzio IGT Terre Lariane sta riscoprendo alcuni vini e vitigni storici come il Domasino, la Verdesa bianca e la Rosseia con grande impegno, lavoro ed entusiasmo.
E allora, dopo aver chiuso questo capitolo, degustiamoci qualcosa di buono, espressione di questi territori, prodotto da viticoltori tutt’altro che negligenti!


Primenebbie 2010 – IGT Ronchi VaresiniCascina Piano – Nebbiolo 100%, 13° vol. –

Il blasonato Piemonte è dalla sponda opposta del lago e lo si può vedere dalla rocca di Angera, dove questo determinato produttore ha reimpiantato i vitigni a partire dal 2000: viti ancora giovani che daranno grandi soddisfazioni.

E perché non assaggiare anche il loro bianco San Quirico (chi conosce il Bussanello alzi la mano!).

Brigante Bianco 2014 – IGT Terre Lariane La Costa Chardonnay, Manzoni Bianco, Traminer, Verdesa, 13° vol.  – Davvero interessante assaggiare un vitigno autoctono della zona come la Verdesa.
Una bella sorpresa!

(continua)