Che vi devo dire…
Più vado avanti in questa mia avventura da sommelier e più mi rendo conto che i cugini d’oltralpe la sanno molto, molto più lunga sul buon vino di quanto mi sarei potuto aspettare ragionevolmente all’inizio. 

Non voglio dire che noi italiani siamo da meno nell’impegno di fare grandi vini, no. Abbiamo esempi di eccellenze da nord a sud dello stivale che competono e vincono in alcuni casi, non solo ai concorsi ma soprattutto a tavola. E comunque non è questo il punto; qui è come se l’erba del vicino fosse davvero più verde.
Forse sono semplicemente io che non essendo abituato a bere francese con costanza sono portato così, naturalmente, a preferire qualcosa di diverso o forse ci sono vini che sono emozione pura, vini che non bevi ma di cui ti inebri, vini che regalano un momento unico che vorresti non finisse mai. Una singolarità.
Durante lo scorso 11 maggio è ciò che mi è successo in più di un’occasione alla degustazione voluta da Sarzi Amadè sui francesi da lui distribuiti.
Istanti, molti, di singolarità.
Francois Bedel è fra i primi, a destra, dopo l’ingresso in sala.
Lavora in biodinamica vecchie vigne che vanno dai 20 ai 60 anni nella Valle della Marna proponendo cuvée a maggioranza di pinot meunier. E lo fa straordinariamente bene.
L’esordio con lo champagne extra brut Cuvée Origin’elle ha rappresentato il giusto inizio di una grande serata.
Il naso è elegante dal carattere fresco e intenso sulle fragranze della pasta madre con punte di scorzetta di lime; la trama gessosa e la sottile acidità citrica garantiscono poi un gran sorso pieno, armonico affatto scontato. Da assaggiare e riassaggiare a secchiate in qualunque momento della giornata.
Il brut Entre Ciel et Terre 2005 prevede una cuvée  di solo pinot meunier, in ampia maggioranza, e pinot nero. Ciò si traduce in una generale morbidezza al naso e al palato ancor più accentuata dal dosaggio che lo rendono un prodotto più semplice adattato ad un pubblico più ampio.
Il colpo grosso è la Cuvée Autrefois 2000. Il produttore mi spiega che pinot meunier e chardonnay di questa cuvée hanno sostato ben 12 anni sui lieviti prima della sboccatura…
Un naso unico dall’ampiezza imbarazzante che va dall’acino d’uva appena colto alla fragranza del pane fresco e poi ancora alla alla frutta esotica, ananas in testa, e mandorla.
Una bocca eccezionalmente morbida, quasi grassa ma fresca e guizzante allo stesso tempo dove anche le note di frutta secca trovano spazio nel finale del sorso. Un’acidità a tratti limonosa che ancora lascia presagire un futuro in cantina.
Primo momento di singolarità.
Appena dopo, De Sousa è proprio lì a distanza di calice.
Purtroppo, si fa per dire, è rimasto solo il top di gamma blanc de blancs Cuvée Précieuse Zoemi Gran Cru.
Brut ma non troppo ha il naso tipico dei grandi chardonnay, gessoso, anzi no polveroso su lime fiori e una leggera nota tostata racchiusi da una grandissima nota minerale rocciosa.
E la bolla… fine, non invadente, perfetta, con un sorso che fa della sapidità la sua arma segreta. Veramente ben fatto, è uno champagne che gioca sul filo del rasoio, che ridefinisce i parametri di giudizio di vino equilibrato.
Da La Chablisienne siamo in uno dei territori principe dei bianchi francesi. A metà strada fra Beaune e Parigi, lo Chablis è luogo dove lo chardonnay trova la perfezione e si esprime al meglio conferendo ai vini il tipico sentore minerale che alcuni associano allo iodio, altri ai ciottoli, altri ancora alla pietra focaia e via così.
Il Vieilles Vignes Venerables 2011 è il biglietto da visita ingombrante della Casa.
Tutto in questo chablis e distinguibile e puntuale; acidità, alcol, apporto glicerico e sapidità in un contesto armonizzato e integrato. Potente e lunghissimo e, anche se il naso non è ampio da accezione Ais, è un ottimo Chablis Aoc
Il Vaulorent premier Cru 2012 sebbene mostri caratteri simili al Venerables gioca su naso e bocca più eleganti, più fievoli. Ancora tuttavia non riesce ad esprimersi del tutto; meglio attenderlo ancora per qualche tempo.
Chablis Grand Cru Chateau Le Grenouilles 2010.
Mammamia!
L’esclamazione è d’obbligo. Lo annusi e già a decimetri di distanza vien fuori una nota calcarea marina di insospettabile vigore, la roccia, una traccia sulfurea, poi le note dolci del legno accarezzano il palato, lo massaggiano per far posto ad una ancora distinta freschezza salivante. Una progressione eccezionale che non finisce mai e un’interminabile sensazione appagante. Grandissimo.
Sono estremamente contento ma al momento dei saluti il mio, ormai, amico produttore mi ferma e mi impone di assaggiare “un altro bianco La Chablisienne” anonimo in decanter e non mi dice altro se non “ci vediamo fra 10 minuti, prenditi il tempo necessario”.
Già il colore dai tratti dorati mi lascia intuire che sono di fronte ad un annata più vecchia. Anche gli archetti fitti e grassi scendono lentamente; altri indizi. Ancora, l’impatto al naso è decisamente spostato sui terziari; dalla frutta matura sotto spirito come pesca sciroppata, al miele di acacia per iniziare; poi cambia e adesso è il tratto marino, la famosa “mineralità”, che si fa largo per lasciare strada ancora oltre alle note tostate di nocciola, noci e frutta secca.
Poi bevo. E quasi mi scende una lacrima.
L’ingresso è soft, morbido e ammaliante, perfettamente equilibrato in una timidezza che svanisce poco a poco; e, come un’opera ottocentesca che sale in crescendo, esplode in un un impennata esponenziale ma composta di frutta secca, mandorla, noci, nocciola e poi amaretto diventando quasi dolcino al limite del fico secco, del distillato.
Chablis Les Preuses 1991 mi dice il produttore fiero.
Emozione pura, singolarità…
Non voglio che questo momento felice svanisca e guarda caso Zind-Humbrecht proprio di fronte.
Il Riesling Brand Gran Cru 2011 è figlio di un’annata precoce e calda da terreni granitici ma un naso piuttosto semplice, sebbene le note di idrocarburo siano evidenti, e il palato fin troppo dolce per i miei gusti non me lo fanno apprezzare.
Il secondo riesling è il Clos Saint Urbain Grand Cru 2012, che a differenza del precedente, viene da terreni vulcanici e da annata più acida e tardiva
Il naso si apre subito a ventaglio su note floreali montane, sulfuree e di impronta minerale.
Anche al palato si dimostra vincente mostrando un’acidità eccezionale, una spina dorsale che non cede mai nemmeno di fronte all’evidente residuo zuccherino con cui invece va a braccetto. Una parola ancora: equlibrato, in tutto. Grandissima espressione di riesling con una chiusura a sorpresa dal sapore vagamente tostato.
Con il Pinot Gris Clos Windsbuhl 2008 passiamo all’altro grain noble. Tra 18 e 40 grammi/litro di residuo zuccherino proviene da uve non tardive ma volutamente raccolte in piena maturità. Al naso infatti esprime una forza solare fatta di miele, confettura di albicocca, frutto della passione, ananas e pesca sciroppata. Penso che la bevibilità sia limitata dall’estrema dolcezza (per definizione è abboccato) del palato ma poi lo immagino su un piatto dal sapore agro/dolce o con formaggi dal sapore intenso.
La versione tardiva Pinot Gris Clos Windsbuhl vendage tardive 2002 è invece un’esplosione di profumi interminabile di fungo secco, dattero, albicocca disidratata, miele d’acacia, mandorla, perfino zafferano quasi fosse un botritizzato; e più di qualche grappolo lo era sicuramente.
Grandissima bocca di grande intensa che termina in un finale tostato di buona freschezza.
E’ così’, mi spiace dirlo, ma credo che il pinot grigio fuori dalla Francia abbia davvero poco senso, escludendo due/tre eccezioni al massimo. Lieto di essere smentito…
Avrei una lista interminabile nomi ancora da smarcare ma mi concedo solo un ultimo assaggio prima di andar via.

In terreni a maggioranza cabernet sauvignon e merlot, nella zona di Moulis en Médoc, sorge Chateau Poujeaux.

Il 2006 ha un naso distinto e distintivo dai tratti eleganti. Gioca sulle note dell’evoluzione con cacao e sigaro dominanti al principio, quindi prugna ed erba secca.
Perfettamente corrispondente al palato ed anche dotato di una buona freschezza che alleggerisce il sorso e ti permette di apprezzare il tannino morbido e avvolgente e un finale fruttato e sapido.
Il sapore è ottimo, bilanciato, una poesia rossa.
Da meditazione, da divano, da chiacchiericcio con gli amici o in dolce compagnia.
Insomma se vi capita fra le mani pensate ad un modo qualsiasi per dargli gloria e andrà sempre bene.
Che vi devo dire…
Avrei voluto di più ma non ero in perfetta forma, fisicamente parlando, pertanto sono saltati un po’ di assaggi interessanti ma troppo frettolosi fra cui due Sauternes, e altri Bordeaux.
Dopo tutto, anch’io ho un fegato a cui dedicare la dovuta attenzione. So che qualcuno mi capisce…