Non è facile per nessuno spiegare la grandezza dei vini francesi, la vocazione dei terroirs e l’enorme competenza dei vignerons d’oltralpe.

E non è mia intenzione provare a farlo oggi.
Ci sono però dei vini il cui assaggio va oltre la semplice degustazione, vini in cui il giochino a noi tanto caro del “trova il fiore e il frutto, e magari anche qualche sentore strano” passa in secondo piano, perché ti rendi conto che rientrano in un contesto molto più ampio.

Il Marsannay di Meo Camuzet ha sortito proprio questo effetto su di me. Potrei parlarvi dei (tanti) pregi trovati in questo pinot noir, della sua elegante acidità, della freschezza floreale che accompagna sempre il sorso, e se proprio non si può fare a meno di citare qualche profumo sparo a raffica così: amarena, pot pourri, ferro, ribes, lacca, carbone, fiori di campo, rossetto, terra bagnata, funghi, muschio.
Ma ciò che lo rende grande, superiore, ciò che mi ha spinto a scriverne è la sua collocazione nel rapporto vino-cibo. Io l’ho provato su, anzi con un hamburger di chianina di tre etti, peperoni spadellati e cavolo nero al vapore e non ho mai, ripeto mai trovato alcun contrasto cibo vino, anzi il Marsannay non ha mai durezze e invece espande lentamente ma inesorabilmente le sue morbidezze, accompagnando e sostenendo sempre più il piatto. Il suo grandissimo pregio è quindi quello di non scatenare una lotta fratricida con la portata a chi sovrasta l’altro, ma anzi di valorizzare il piatto.
Ecco, ho avvertito un senso di completezza, di armonia tali da non immaginare un morso senza il successivo sorso, un sorso senza il successivo morso… sublime, un’empatia cibo-vino che solo i grandi vini sanno creare.
E questa non è che una delle tante, tantissime magie che sanno regalarci i pinot noir di Borgogna.

Scritto e degustato da Gianpaolo Arcobello, l’InVinato Speciale.