Quando un vino si può definire buono?
Tralasciando qualche accademico AIS che vedrebbe di buon grado l’aggettivo “buono” annoverato come centodiciassettesimo termine della tabella (e mi troverebbe concorde) un vino è buono quando piace. Punto. Le parole stanno a zero.
Questo chianti è buono, si trova nei grandi supermercati e ha un ottimo rapporto qualità prezzo.

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Sangiovese per l’80-90% e il resto quasi esclusivamente Canaiolo. Un chianti autoctono, puro, senza miglioratori.
Prodotto base e biglietto da visita della cantina toscana si presenta di un bel colore rosso rubino carico di media consistenza.
Mi sembra di aver avvertito qualcosa di strano sul tappo, ma mi ricredo poco dopo.
Una goduria di frutta fresca e spezie al naso. Intense note di amarena, fragola, mela cotogna, terra, pepe, liquirizia e una vaga sensazione vegetale. Una spremuta di territorio.
Ricco e invitante, croccante.
In bocca la corrispondenza al naso è perfetta. Ritornano polpa, sensazioni fruttate e speziate accompagnate da una freschezza ben dosata che fa da spina dorsale. Il tannino è addomesticato ma ancora un pizzico sopra le righe; non perfettamente integrato lo avrei preferito leggermente meno aggressivo (anche se aggressivo è un termine fin troppo spinto).
Anche la persistenza, nella media, rivela un vino da accompagnamento al pasto.
Concludendo, sebbene non sia un vinone da mille e una notte, mi piace molto soprattutto per questa sua natura speziata orientaleggiante e carnosa che lo rende immediato e godibile fin dal primo assaggio. 
Ovviamente lo ricomprerò…
83/100